![33742_476711927358_208103887358_6848185_6187304_n](https://www.nuovocadore.it/wp-content/uploads/2010/10/33742_476711927358_208103887358_6848185_6187304_n-300x200.jpg)
Allora Matteo, cosa ti viene in mente di dire, aldi la di quello che hai scritto nel blog, a conclusionedi tutto? «Una particolarità di questo trekking, cui solo ora inizio a fare caso, è che abbiamo incontrato gente di tutti i tipi: dalla coppia di francesi che fa il giro del mondo in un anno, all’ inglese solitario con la passione per la fotografia che viene ad immortalare le cime himalayane. E poi il 25enne israeliano che vaga da otto mesi per l’Asia senza meta, e la coppia di canadesi misteriosi che non parla con nessuno. E come non dire di quello scozzese che abbiamo visto in maniche corte sempre e ovunque, anche la notte a 3mila metri? E poi la ragazza olandese sovrappeso e inesperta che, dal campo base, vuole tentare la cima ma che per fortuna ci rinuncia subito. E infine quei quattro giapponesi antipatici, viziati e ricchi, che trattano i portatori come schiavi».
Cosa vi lascia dentro questo trekking? «Qui per la prima volta abbiamo finalmente capito che cosa spinge gli alpinisti estremi a rischiarela vita per raggiungere le cime di queste spettacolari montagne. Le cime himalayane ipnotizzano», dice Gracis, «incantano chiunque. E’ un qualcosa di impossibile da spiegare: solo venendo qui, al cospetto di queste vette, si può capire di cosa parlo».
“E’ la montagna che chiama”: così diceva Karl Unterkircher (grande alpinista italiano morto nel 2008 durante la salita del Nanga Parbat, un altro 8mila). Sottoscrivi? «Certo che sì. A pochi attimi dall’alba, al campo base, ho avuto la netta impressione che le montagne intorno a me fossero vive. Sembravano respirare, emanare energia. Dirò di più: Marco Faccin e Davide Migliorin hanno seguito lo sherpa, allontanandosi dal campo base e avvicinandosi al ghiacciaio della parete dell’Annapurna Sud, quindi salendo ulteriormente e raggiungendo i 4.400 metri. Sembravano avere le ali ai piedi. Ma tutti ci sentivamo bene fisicamente e avremmo voluto procedere fino ai ghiacciai. Ma il tempo a disposizione era poco. E, comunque, la meta della spedizione era stata raggiunta».
(fonte: Corriere delle Alpi – Marco Antinarella)