Si produrrà in Croazia lo speck del Cadore? È questo il rischio concreto se si giungerà allo smembramento della Unterberger di Perarolo, in concordato fallimentare da febbraio 2012.
Non essendoci al momento aziende del settore interessate a rilevare l’intero compendio, a causa della richiesta economica assai elevata (1.280.000 euro) il curatore infatti potrebbe procedere alla vendita disgiunta degli impianti (ad un’azienda appunto croata) e della struttura (uno scheletro vuoto), che poi potrebbe essere adibita ad uso abitativo.
Ma c’è anche chi sta cercando di salvare questa azienda e di tenerla in Italia. Si tratta del salumificio Sant’Orso di Caltrano, Vicenza, (13 addetti, 8 milioni di fatturato) che si dice pronto a rilevare l’attività ed a far ripartire la produzione, anche se da principio con un minimo numero di addetti.
Offre meno soldi per l’acquisto (765/800mila euro, contro la richiesta appunto di 1.280mila euro), ma presenta un piano industriale di rilancio. Ma cosa si può fare per salvare un marchio storico e soprattutto una delle poche produzioni che potrebbero ancora sopravvivere in montagna?
La “Unterberger Giuseppe & C. Snc” di Perarolo operava dal 1968 nel settore della lavorazione delle carni, in particolare nella produzione di tranci di speck affumicato del Cadore (unica a fornire questo prodotto), poi commercializzati dai grossisti o dagli ipermercati, oltre a svolgere attività di macelleria. Chiusa a fine 2011, nel febbraio del 2012 è stato concesso il concordato preventivo. «Noi», spiega Paolo Stiffan, figlio di uno dei titolari, che sta seguendo la questione per la Sant’Orso, «siamo una medio/piccola realtà dell’Alto Vicentino che ha la fortuna di non aver problemi di vendita, quanto piuttosto di capacità produttiva; facciamo fare molti prodotti, infatti, presso alcuni stabilimenti fuori regione. E siamo alla ricerca di uno stabilimento produttivo che possa incontrare le nostre esigenze: nell’ultimo mese siamo stati tre volte in Romania ed una in Slovenia, a breve andremo in Croazia e Carinzia, per vedere quali possibilità vi sono in quelle zone».
Poi hanno visitato anche lo stabilimento di Perarolo, hanno visto che, dopo opportuni adattamenti, poteva fare al caso loro ed hanno contattato il curatore. «Realizzato il nostro business plan sulla base delle attuali condizioni di mercato», prosegue Stiffan, «abbiamo formalizzato al curatore un’offerta che ci consentisse di essere profittevoli e di ripagare il mutuo necessario all’acquisto (mutuo che la banca ci avrebbe già garantito). La nostra offerta è di 765.000 euro, inviata sia al curatore che al pool di banche titolari dell’ipoteca sull’immobile (Antonveneta e Cra di Cortina d’Ampezzo), distante però dai 1.280.000 richiesti come base d’asta».
L’idea, illustrata anche al sindaco di Perarolo Pierluigi Svaluto Ferro in un incontro in municipio lo scorso 8 gennaio, sarebbe quella di far ripartire l’azienda nel più breve tempo possibile, di assumere personale locale, di richiedere la DeCo (ovvero la denominazione comunale che ha un ben preciso disciplinare) per lo speck del Cadore. «Purtroppo i soli numeri finanziari ci danno torto: 280.000 euro richiesti per gli impianti e un’offerta ufficiosa di 700.000 euro per l’immobile», sottolinea ancora Stiffan, «sazierebbero i creditori privilegiati (il pool di banche) ma comunque nulla resterebbe agli altri creditori (tra cui anche la nostra azienda). In una logica finanziaria la prassi è questa; la logica industriale invece sarebbe diversa, perché si preserverebbe l’azienda produttiva, i posti di lavoro che essa crea e si valorizzerebbe un prodotto locale unico, invece di favorire stranieri (che poi competerebbero sul nostro mercato, ma con costi di produzione inferiori) e di costruire nuove abitazioni che rimarrebbero sfitte o usate come casa vacanze».
di Stefano Vietina
Fonte: Corrierealpi.gelocal.it