Il Cadore era conosciuto per la via del legno che dai boschi, poi lungo i fiumi, portava il legname a Venezia; una via meno nota invece è quella del sale. In un percorso inverso via terra, che dalla laguna conduceva fino a Pieve di Cadore, questo itinerario consentiva di portare in montagna un bene di cui ne era sprovvista: il sale. Questo interessante commercio, ricostruito da Irene Spada e Massimo Della Giustina nel libro Il sale in viaggio da Venezia al Cadore (Compiano editore, 360 pagine, 16€) racconta l’importanza del sale che veniva utilizzato per conservare gli alimenti ed anche per far mangiare alle bestie un fieno non proprio fresco.

Il libro descrive le vicende legate al mondo del commercio del sale nel periodo compreso tra il XVI secolo e la caduta della Repubblica di Venezia (1797) sino al termine della prima dominazione austriaca (1798-1806). I fatti che vengono descritti si snodano lungo le varie tappe del percorso che, dalla Punta della Dogana di Venezia, terminava a Pieve di Cadore. Località fondamentali lungo questo tragitto erano la città di Portobuffolè, stazione finale del trasporto fluviale e prima località di partenza del trasporto via terra, e la città di Serravalle, ultima tappa prima dell’inizio del faticoso attraversamento delle montagne. Da qui il sale, trasferito dai sacchi nelle botti veniva preso in consegna dai conduttori delle Regole che lo trasportavano in montagna. Prima nei magazzini del sale di Pieve; poi fu la Magnifica Comunità di Cadore, nel 1532, a definire altri tre nuovi magazzini a Borca, Lozzo e Comelico Superiore.