Un racconto ambientato in Cadore tratto dal Romanzo “Zoe” di Francesco Vidotto, Minerva Edizioni 2013, www.francescovidotto.com

Illustrazione di Eros Lisci

C’è un sentiero nel bosco di Tai, stretto e ripido e pieno di radici. Nasce proprio dal centro del paese e sale su, verso le cime candide di neve.  Si dice non finisca mai.  In molti, tra i più bravi alpinisti, sono partiti armati di grandi zaini e piccozze, decisi a percorrerlo per intero, ma hanno sempre fatto ritorno stanchi e sconsolati e delusi.
Un giorno di primavera Paola era a passeggio con la nonna. Stavano rientrando dal mercato quando passarono davanti all’inizio del sentiero nascosto da alte e folte erbacce.  La piccola, vispa com’era, sfuggì di mano alla nonna e prese a risalire la stretta stradina ridendo a voce alta. “dove vai?” strillò Teresa “torna qui, puoi farti male”
Ma la bimba correva avanti e giocava con alcune pietre e cadeva e si rialzava e non ne voleva sapere di ascoltare la nonna.  Corse talmente veloce e così lontano che d’un tratto si voltò e vide che le case del paese erano scomparse. Al loro posto solamente alberi, marroni e verdi e così alti da oscurare il sole.

Paola ritornò sui suoi passi con le lacrime agli occhi, chiamando Teresa, ma quel bosco sembrava essere tutto uguale e così, smarrì la strada di casa.  Sempre più spaventata non la smise di correre nemmeno quando il sole tramontò e per tutta la notte ancora. Corse e pianse e si stancò tanto da addormentarsi, sfinita, sul nascere di un verde prato.
L’indomani mattina la svegliò un pettirosso posato sulla sua piccola mano cinguettando allegramente.
Paola si guardò attorno, si stropicciò gli occhi e ripensò alla notte trascorsa e la paura stava per ritornare quando qualcosa la distrasse.  Al centro del prato vide un grande sasso, alto quasi quanto lei, immobile e solitario, solamente che questa strana pietra cambiava colore di continuo. Vibrava di sfumature di blu e verde e viola e giallo e rosso e sembrava si muovesse nel sole dell’alba.  Paola dimenticò ogni cosa e curiosa si avvicinò alla roccia colorata al centro del prato, proprio alla fine del sentiero infinito.  Quando fu poco distante si stupì nel vedere che quei meravigliosi colori erano in verità ali di variopinte farfalle, posate l’una sull’altra, che muovendosi, mutavano tinta.

La piccina si portò le mani alla bocca per lo stupore quando accadde un fatto miracoloso. Un fascio di luce nacque da quel brulicare di colori e spiccò il volo diritto nel cielo. Era l’arcobaleno.
Paola guardava con il naso all’insù quel nastro magico che si catapultava chissà dove quando le farfalle si alzarono in volo lasciando nuda la grigia pietra e una scura buca comparve proprio sotto di lei.  La curiosità della piccola la spinse ad avvicinarsi.  Era una grotta buia dalla quale, ogni tanto, volava fuori una farfalla dai colori brillanti. Paola ci mise il naso dentro e poi tutto il corpo e prese a scendere sotto terra.  Pochi metri più avanti vide una luce che si faceva via via più intensa ed una stanza prendeva poco a poco forma. Era una caverna con al centro un pentolone ripieno di un liquido denso come il miele e variopinto e accanto un vecchio con la barba bianca e un ramoscello di legno stretto in mano.  Aveva le braccia tese di fronte a se che muoveva in cerchi concentrici e con parole senza senso.

Ad ogni formula magica uno schizzo di colore saltava fuori dalla pentolaccia, si tramutava in farfalla e volava via.
“chi è là?” – domandò d’improvviso – “fatti vedere”
Paola ritrasse la testa spaventata
“mostrati ho detto” ripeté l’anziano con voce tuonante
La piccola si fece coraggio e sbucò da dietro la roccia
“sono Paola” disse titubante
Il vecchio la guardò continuando ad armeggiare con la sua bacchetta
“Paola.. mmm.. nome comune per un folletto”
“ma io non sono un folletto” sorrise la bimba
“ah no? Beh.. ma sei piccola e Paola.. significa per l’appunto.. piccola”
“davvero?”
“davvero! Ma dimmi.. chi saresti quindi?”
“una bambina”
“poffarbacco, la cosa si fa interessante” – mugugnò tra se – “una bambina qui, sul pratosfumato..  mmm”
“e tu invece?” – domandò lei già senza timidezza – “che ci fai sotto terra?”
“oh questa è bella! Che ci faccio! Senti senti. Io sono MastroTinta e mi occupo di colorare il mondo”
“tu.. colori il mondo?”
“certo! Che ti credi? Che il verde degli alberi e il blu del cielo e il rosso di quel bel grembiule che porti siano li per caso? Nient’affatto! Li faccio io!”
“li fai tu? E come?”
“ma che domande! Con le farfalle è ovvio! Come mai se no le ali delle farfalle sarebbe così cangianti? Te lo sei mai chiesto”
“no.. mai”
“ho senti! Beh te lo dirò io. Le ali delle farfalle sono così colorate perché danno vita all’arcobaleno. L’arcobaleno lo conosci?”
“si!” – esclamò Paola entusiasta – “l’arcobaleno si!”
“ecco. L’arcobaleno nasce qui, dal masso che sta sopra di noi. O meglio, dalle farfalle che lo ricoprono e poi cade giù da qualche parte e colora tutto ciò che tocca di toni meravigliosi. Ecco perché il mondo è colorato! Per via delle farfalle e, modestamente, per merito di MastroTinta.. che sarei io”
“hoooo” – sussurrò Paola con le mani giunte e gli occhi stupiti fissi sul pentolone
“per ogni bolla una farfalla e per ogni farfalla una bolla” gridò MastroTinta e una nube di ali nacque dallo strano liquido e si liberò nell’aria.
“MastroTnta”
“dimmi Paola”
“e.. da quanto tempo sei qui”
“oh.. il tempo. Graziosa domanda. Forse bisognerebbe farla a MastroOra, che abita nel vicolo di “Mai”. Si, lui di certo potrebbe rispondere a tono. Ad ogni modo si! Credo che “sempre” possa dare l’idea. Si.. sono qui da sempre”
“e.. da sempre colori?”
“si” – rispose l’anziano carezzandosi la barba pensieroso, ma poi il suo sguardo si rabbuiò – “coloro da sempre ma non ho colorato sempre”
Paola strinse gli occhi per capire meglio.
“c’è stato un tempo in cui era tutto nero”
“davvero?”
“si. Mi avevano imprigionato”
“e chi?”
“OmbraConte, che domande! Mi aveva imprigionato lui”
“OmbraConte?”
“Si piccolina. Il mio fratello gemello: OmbraConte. Lui lavorava di notte, quando io dormivo. Aveva il compito di regalare i colori alla notte solamente che, ahimè, covava una profonda gelosia per la mia pentola e per il mio compito così, un giorno, venne a PratoSfumato e coprì PietraFarfalla con il suo nero mantello e il mondo intero ingrigì”
“e i colori?”
“spariti!” sussultò MastroTinta
“e tu?”
“ero in trappola, qui dentro”
“ma ora non più” disse Paola con gli occhi del sorriso
“no, ora non più” – ammise l’anziano stendendo le labbra – “e per merito di una bambina, proprio come te”
“davvero?”
“certo! Devi sapere che in quel tempo le persone, senza più colori, erano grigie anche nel cuore e tristi. Lavoravano, rincasavano, fumavano e vestivano con completi bui e cappelli e cravatte. Accadde che un giorno, nel paese di Tai, nacque una bimba speciale. Sorrideva e saltellava e correva e giocava in quel mondo in bianco e nero e finì per raggiungere PietraFarfalla, qui a PratoSfumato. La pietra era scura e fredda ma lei ugualmente vi si sedette sopra, la guardò e scovò l’ingresso della caverna”
“e poi?” domandò Paola senza altre parole nel cuore “e poi scese fin qui e mi vide, immobile, seduto a terra, senza forze di fronte al pentolone vuoto. Allora mi scosse, mi parlò, mi corse attorno ma niente. Io ero come di sasso. La sua vivacità era senza fine e prese a saltellare e ballare fin che si affacciò al bordo della grande pentola e ci guardò dentro.

Ci gridò il suo nome e ne sentì l’eco. Ci gridò il nome del nonno imitando la sua voce grossa e ne sentì l’eco, e fu così buffo che scoppiò a ridere e quella felicità gocciolò giù, sul fondo della pentolaccia e, quando lo toccò, diventò farfalla. La prima dopo tanto. La prima farfalla del colore della gioia.  La farfalla svolazzò nella grotta e si posò sulla mia barba e mi colorò, di nuovo e io rinacqui e con me il giorno variopinto. E questa e la storia piccolina. Per il resto.. confermo.. sono sempre stato qui” Paola era rimasta immobile di stupore, non sapeva cosa dire e sospirava, poi..“e OmbraConte?”
“Oh, sei attenta! Certo OmbraConte! Lui era un pericolo perché ancora governava la notte che, a quel tempo era più buia del nero. Io non potevo permettere che mi intrappolasse di nuovo, non potevo proprio”
“e come hai fatto?”
“E’ stato difficile. Ci ho pensato molto a lungo e poi ho fatto una cosa per illuminare un poco la notte, in maniera che OmbraConte non avesse più un posto tutto suo dove vivere e dove tramare contro di me. Ho disegnato le stelle nel cielo. Certo questo comporta che io debba svegliarmi ogni tanto, ma ne vale la pena, trovi?”
“oh si MastroTinta, ne vale la pena” rispose Paola.
In quell’attimo l’anziano creò una farfalla gialla e la condusse sulla spalla di Paola.
La bimba la osservò. Era un giallo così denso e luminoso da accecare così spalancò gli occhi celesti e vide la finestra della sua camera da letto e il sole che entrava caldo e sentì gli uccelli cinguettare.
La nonna aprì la porta con la coazione su di un vassoio in legno
“hai dormito bene?” chiese dolce alla nipotina
“sai nonna.. ho fatto un sogno” – rispose poco convinta – “ero in bosco e c’era un signore con una pentola..”
In quell’istante dal davanzale una farfalla del color del cielo si levò in volo, fragile nel vento del mattino.
Paola la guardò e poi guardò il bianco candido delle cime e delle nuvole e il sole e il copriletto a rombi variopinti e sospirò. La nonna la carezzò teneramente. “sono felice che tu abbia dormito bene” disse
E guardò dalla finestra la cima più alta e le tornò alla mente di quando, da bambina, trasformò una risata in farfalla.

mastro tinta 1