Sono il sorriso e la simpatia a conquistare i suoi interlocutori. E subito dopo viene l’entusiasmo con il quale anima, fino a renderli effervescenti, i suoi racconti di medico volontario in Africa. L’incontro con i suoi compaesani di Pieve di Cadore è stato una festa.
Era la prima volta che Cristina Reverzani raccontava in pubblico la sua scelta di vita. A Pieve la conoscono tutti: una brava ragazza, educata e aperta. “Ha sempre salutato tutti fin da bambina – ricorda una signora che si è commossa incontrandola nella sala del Consiglio della Magnifica Comunità di Cadore – e si è sempre distinta nello studio. Proprio una ragazza in gamba. Non mi meraviglio di questa sua scelta di vita. Del resto, da una famiglia come la sua non poteva che sortire una Cristina capace di scelte eccezionali come ha saputo fare lei”. Dopo il liceo a Pieve è arrivata la laurea in chimica a Milano. E quindi la salita a Monaco di Baviera per prepararsi a diventare un’esperta di brevetti industriali a livello europeo. Fin qui la vita di Cristina Reverzani era nota a tutti, a Pieve. “Poi ho conosciuto l’Africa e, soprattutto, ho toccato con mano la povertà dell’Africa, i malati dell’Africa. E ho deciso di dedicarmi a loro”.
Cristina aveva 40 anni e svolgeva una professione di prestigio. Ma non ha esitato. Ha deciso di voltar pagina. Una scelta radicale che, in un primo momento, qualcuno non ha capito. “Però, devo dire che i due uomini della mia vita, mio padre e Pietro, che poi è diventato mio marito, hanno accolto con entusiasmo la scelta e mi hanno aiutato a concretizzarla”. A 40 anni Cristina si è iscritta alla Facoltà di Medicina presso l’Università di Monaco di Baviera e in sei anni si è laureata e specializzata in ginecologia.
Quando le hanno chiesto di programmare lo svolgimento del periodo di pratica ospedaliera previsto dal corso di laurea in Medicina, non ha avuto dubbi, la scelta è andata subito all’Ospedale di Lacor a Gulu, nel nord dell’Uganda, che aveva avuto modo di conoscere leggendo la sua storia e le testimonianze di chi aveva conosciuto i fondatori, i coniugi Piero e Lucille Corti, entrambi medici. In realtà i fondatori dell’ospedale sono stati i missionari comboniani ma è stato sotto la direzione del dottor Corti che il Lacor è diventato il maggiore ospedale non profit dell’Uganda.
Ogni anno cura quasi 300mila malati e ha oltre 500 dipendenti tra medici, infermieri, impiegati e tecnici. Le sue scuole di formazione sono frequentate da 500 studenti. Le organizzazioni internazionali della sanità lo considerano un osservatorio epidemiologico strategico dal momento che il Lacor Hospital si è trovato in prima fila in occasione dell’epidemia di ebola, della recrudescenza dell’Aids e nel cuore della guerra civile durante la quale l’ospedale era diventato luogo di rifugio per migliaia di bambini.
“Un ospedale che ha una storia eccezionale – racconta con un pizzico di emozione la dottoressa Reverzani – Pensiamo solo a cosa sono riusciti a fare i coniugi Corti, al loro impegno, alla loro intraprendenza che ha sopperito ai pochi mezzi di cui disponevano all’inizio della loro avventura medico-scientifica in Uganda e poi all’organizzazione internazionale che sono riusciti ad avviare per garantire il sostentamento economico dell’ospedale che oggi vive soprattutto grazie a due Fondazioni”.
All’incontro di Pieve ha partecipato anche il comboniano fratel Elio Croce, un trentino che al Lacor Hospital coordina l’organizzazione tecnica del nosocomio. “E con fratel Elio – ricorda Cristina – ci sono altri volontari che lavorano per il buon funzionamento dell’ospedale dove, ancor oggi, a distanza di parecchi anni dalla loro morte, sopravvive la testimonianza e l’esempio di Piero e Lucille Corti”.
Cristina ne parla con ammirazione e gratitudine perché la storia di questi due medici ha contribuito non poco ad indirizzarla in Uganda. Ma è stato il suo effervescente entusiasmo nel raccontare dei bambini e delle donne che ha coinvolto i molti presenti fino a fargli esprimere il desiderio di costruire un ponte di solidarietà tra Pieve e il Lacor Hospital in Uganda dove opera questa eccezionale dottoressa cadorina.
Articolo tratto da IL CADORE n.4-2018
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