Una legge sarà ricordata per tanti motivi. A sostenerlo sono già in molti che ne evidenziano le tre qualità maggiori: è scritta in un ottimo italiano ed è chiara nei concetti che intende esprimere; raduna sotto un unico nome (Domini collettivi) tutte quelle organizzazioni, istituzioni ovvero formazioni sociali distinte dallo Stato che in qualunque modo rappresentano una collettività proprietaria di beni o titolare di diritti; riconosce a queste organizzazioni da un lato la figura di ordinamenti giuridici primari, dall’altro l’interesse generale che rappresentano e al quale sono deputate.

Mappa del territorio cadorino nel 1780 del Gianpiccoli, affresco di G. Pini Palazzo della Comunità (1953)

Si tratta della legge numero 168 del 20 novembre 2017.

Fra le pieghe della legge alcune considerazioni vanno svolte in apertura di questa presentazione.

Il primo articolo, “Riconoscimento dei domini collettivi” li definisce come “ordinamento giuridico primario delle comunità originarie”. Il concetto è rivoluzionario perché pone sullo stesso piano il potere del legislatore e il potere delle collettività, per quanto riguarda il proprio assetto amministrativo e per l’amministrazione dei beni. È conseguenza nondimeno che l’ordinamento locale, nell’esercitare la propria autonomia statutaria riconosciuta dalla legge, è soggetto alla Costituzione.

Particolare disegno dimostrante l’organizzazione del trasporto del legname squadrato estratto dai boschi del Cadore per via di terra e di ume – Archivio MCC (1604 4 gennaio)

Incredibilmente il legislatore, nel creare questa potente figura di diritto privato, ha voluto specificare il suo assoggettamento alla Costituzione (e in linea di principio non ce n’era bisogno: tutto l’universo giuridico italiano è soggetto alla Costituzione, fonte primaria) e questo crediamo per due motivi: il primo in quanto attribuisce alla figura giuridica di cui parliamo (si ripete) la natura di orientamento primario, la seconda perché è nota al compilatore che spesso le realtà locali, per una sorta di “eccesso di potere”, spesso narcisistico (libido regoliera), calpestano sistematicamente i diritti fondamentali dell’individuo si allude qui, per ora, alla esclusione della presenza femminile e alla sospensione dal diritto di voto del titolare (discendente degli antichi originari) non anagraficamente residente.

Per quanto riguarda il Cadore, la precisazione legislativa che “le comunioni familiari vigenti nei territori montani continuano a godere ed amministrare i loro beni in conformità dei rispettivi statuti e consuetudini, riconosciuti dal diritto anteriore” non le esime dagli obblighi costituzionali, da un lato in quanto da tempo i loro Statuti avrebbero dovuto (laddove ciò non sia stato) conformarsi alla Costituzione, dall’altro in quanto il potere di autonormazione riconosciuto da questa legge fa riferimento ai beni e non alle persone e dunque si riferisce all’amministrazione e non certo alla partecipazione (o meglio: al diritto soggettivo di partecipare) degli individui (per il Cadore) discendenti dagli antichi originari.

Frontespizio del laudo d’Oltrepiave, Biblioteca Storica Cadorina

Certamente, quanto ai soggetti, non può essere di natura “privata”, considerato che la stessa legge (art. 2) così enuncia: “La Repubblica riconosce e tutela i diritti dei cittadini di uso e gestione dei beni di collettivo godimento…”: specifica norma che non avrebbe ragione di apparire in questa legge che di “riconoscimenti” ne ha in abbondanza: dunque la natura “pubblica” dei diritti tutelati non riguarda solamente i beni, ma anche (e primariamente) i diritti dei cittadini su tali beni, altrimenti e in modo incongruo, dovrebbe parlarsi di una tutela privata di beni pubblici.

A mo’ di intervallo, va qui precisato che viene delegato alle Regioni, nel breve tempo di dodici mesi dal 13 dicembre 2017, l’esercizio delle competenze già previste dalla Legge che riconosceva le Organizzazioni montane (L. 97/1994) fra le quali in primis la “… verifica della sussistenza dei presupposti in ordine ai nuclei familiari e agli utenti aventi diritto”, insieme alla disciplina “…degli elenchi concernenti i nuclei familiari e gli utenti aventi diritto”.

Le carenze della Legge Regionale (L.R. 26/1996) attuativa della legge statale del 1994 sono state spesso rilevate (anche nelle sedi più opportune e altrettanto spesso emerse e giudicate in sede giurisdizionale, ma sempre vanamente, quanto agli effetti finali sulle comunità locali) e in particolare attengono ai due lamentati momenti della esclusione femminile e del non residente. Quanto alle donne, le recenti “sollevazioni” del Comelico (leggesi Costalta, ma anche Padola e Santo Stefano) stanno inducendo i commentatori (dapprima grandemente silenziosi) a “suggerire l’attribuzione anche alle figlie femmine dei regolieri la qualità di regoliere”.

Tuttavia quanto vi è di grandemente rilevante nella legge attiene alla sfera pubblicistica del nuovo ente. Pur essendo dotato di personalità giuridica privata, è proprietario di un demanio civico (sono entrambe definizioni legislative). Demanio significa semplicemente insieme di beni inalienabili destinati a soddisfare bisogni collettivi. Il legislatore aggiunge al vincolo dell’inalienabilità, quello dell’indivisibilità, dell’inusucapibilità e della perpetua destinazione agrosilvopastorale.

Ma se questo non bastasse a connotare i beni di proprietà regoliera (e conseguentemente gli obblighi e i doveri di tutelare i diritti soggettivi e quelli di proprietà degli associati) viene riconosciuto che essi sono “…elementi fondamentali per la vita e lo sviluppo delle collettività locali…componenti stabili del sistema ambientale… strumenti primari per assicurare la conservazione e la valorizzazione del patrimonio naturale nazionale…” e dunque accanto all’interesse della singola collettività, vi è un interesse nazionale che le organizzazioni devono perseguire. Infatti anche i maggiori studiosi del diritto regoliero devono dichiarare che “… la proprietà collettiva è una proprietà pubblica”.

Ecco dunque che ritorna il “profeta” di questa concezione il Prof. U. Pototschnig che alla emanazione della Legge 1104 del 1948 (Disposizioni riguardanti le Regole della Magnifica Comunità Cadorina) nel suo fondamentale libro omonimo (1953) scriveva: “Le Regole Cadorine sono persone giuridiche private, ma di interesse pubblico”.

Tuttavia troppe Regole cadorine hanno avuto e hanno tutt’ora una prevaricazione del privato sul pubblico, credendosi al disopra della Costituzione, della legge nazionale e dei Giudici perché (volutamente?) inconsapevoli dei diritti e dei doveri di natura pubblicistica che rappresentano.

Frontespizio del Governo dei boschi (1800)

Fra le abissali carenze, manca un limite al mandato del Presidente e degli amministratori e il controllo della loro attività avviene all’interno dello stesso apparato (forse prendendo alla lettera il potere di “autocontrollo” conferito dalla legge del 1994) formandosi a volte una vera e propria casta amministrativa; manca una regolamentazione delle spesso caotiche assemblee; per non ricordare ancora l’impotenza del regoliere (comproprietario) nei confronti dell’apparato amministrativo, qualora debba far valere i propri diritti lesi; la presenza di un variopinto quorum assembleare o deliberativo. Si tratta di alcuni specifici temi, che insieme ad altri, dovrebbero trovare soluzione in una rinnovata legge regionale, ma è lecito dubitarne assai (ma sarebbe peggio se lo facessero le singole Regole, in ordine sparso).

La legge con gravissima (e voluta) omissione nel mentre conferma il vincolo paesaggistico e ambientale per le terre di uso civico, non lo prevede per gli altri domini collettivi ovvero, nel caso del Cadore, per i beni regolieri. Il legislatore si è dunque tenuto la porta aperta per consentirne gli espropri, come sta avvenendo nella realizzazione delle centraline sui torrenti e fiumi cadorini (le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, supremo organo giurisdizionale, ne ha recentissimamente affermata l’espropriabilità).

Il merito della formulazione della legge che qui si commenta va sul piano concreto al Senatore Giorgio Pagliari, primo firmatario e arte ce del progetto, ma sul piano giuridico va a Paolo Grossi che, dall’alto dei suoi pluridecennali studi sul “diverso modo di possedere” e del suo ruolo (allora) di Presidente della Corte costituzionale, ha potuto far prevalere a Roma la necessità di approvare questa legge nello scorcio di legislatura.

Una prima brillante illustrazione del contenuto e degli aspetti più reconditi di questa legge è arrivata da Alberto Germanò, fra i massimi cultori della materia, in un Convegno organizzato dalla Consulta nazionale della proprietà collettiva e tenutosi a Longarone nell’aprile di quest’anno.

È in vista, d’intesa con Stefano Lorenzi Segretario delle Regole d’Ampezzo e Segretario della Consulta veneta della proprietà collettiva, un incontro in Magnifica Comunità, per approfondire anche in Cadore i tanti aspetti di questa legge oggi brevemente commentata.

 

Articolo tratto da IL CADORE n.6-2018


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