Dal primo gennaio non possono più essere prodotti o messi in commercio gli shoppers non biodegradabili, mentre una normativa transitoria dà la possibilità ai supermercati e ai negozi di smaltire le scorte.
Sui giornali in questi giorni leggo pareri differenti.
C’è chi dice che la “vita utile” dei sacchetti è breve rispetto alla “vita dannosa” quasi eterna (un sacchetto resta nell’ambiente da un minimo di 15 anni ad un massimo di 1.000).
I produttori di buste di plastica (UnionPlast) sostengono invece che:
• il divieto non è previsto da nessuna direttiva comunitaria
• il sacchetto non è un problema perché può essere riutilizzato
• il divieto obbliga il consumatore ad acquistare sacchi neri per la raccolta dei rifiuti
• il sacchetto di plastica una volta giunto in discarica, spesso viene separato dal contenuto e recuperato in energia o riciclato.
• Le bio-shopper hanno performance minori perché si rompono più facilmente.
Mi domando se in qualche modo questa iniziativa si può tradurre in un risparmio per noi consumatori (che a questo punto dobbiamo utilizzare borse di tela o altri mezzi alternativi al sacchetto, scegliendo accuratamente qualcosa che consenta di essere riutilizzato più e più volte visto anche la differenza di prezzo – dai 3 ai 5€ per la borsa di tela, contro i 0,05€ del sacchetto di plastica, per non parlare di altri contenitori sempre in plastica che hanno un costo superiore ai 5€) o sia solo uno specchio per le allodole a favore dei produttori di queste “bio-shopper”.