«Il punto nascita di Pieve va chiuso»
È la tesi finale dei “tecnici” (contenuta nel documento dato all’Usl) in base ai numeri sui parti effettuati e alle norme vigenti
PIEVE DI CADORE Sono i tecnici, cioè gli stessi medici di ginecologia, pediatria, rianimazione e Suem, ad auspicare che, al termine delle analisi in base a dati e normative vigenti, «venga messa in sicurezza la rete dei punti nascita nella nostra Usl e che quindi, come affermato nell’accordo Stato-Regioni del 16 dicembre 2010, si giunga alla chiusura del punto nascita di Pieve di Cadore. Per i bassi volumi di attività e le caratteristiche strutturali e organizzative, l’ospedale cadorino, infatti, non garantisce lo svolgimento di tale attività in modo efficace, sicuro e sostenibile». Il documento dei tecnici è stato pubblicato ieri su Facebook dal sindaco di Calalzo, sollevando perplessità da più parti. Ma i “tecnici” precisano che si tratta «di un’analisi tecnica, appunto, in base ai parametri e alla normativa nazionale e regionale. Spetta poi alla politica veneta, e non certo a noi, decidere se tenere o meno questi servizi». «I tecnici danno soltanto delle indicazioni per garantire un servizio in massima sicurezza in un dato contesto. Ma sono soltanto pareri, non c’è nulla di deciso. Lo stesso vale per i laboratori analisi di Agordo e Pieve», precisa il direttore generale dell’Usl 1, Pietro Paolo Faronato. «Un laboratorio medio fa oltre 3 milioni di prestazioni all’anno, i nostri arrivano a qualche centinaia di migliaia. Accorpare i laboratori porterà un miglioramento della qualità del servizio e maggiori controlli, ma per il paziente nulla cambierà. Sapere che il sangue viene analizzato a Belluno piuttosto che ad Agordo o Pieve non cambia nulla, l’importante è che la lettura sia di qualità». E poi Faronato tranquillizza: «In caso di emergenza, gli esami saranno garantiti in loco, tramite delle apparecchiature particolari automatizzate». Il punto dolente, però, resta la possibile chiusura del reparto di ostetricia a Pieve di Cadore. Da anni il sindaco e tutto il territorio si sono schierati in sua difesa, per garantire un servizio importante per un’area disagiata come il Cadore. Ma la doccia fredda è arrivata con il documento dei medici presentato al dg dell’Usl 1. Documento che ha scatenato ulteriori proteste. A spiegare il senso di quello scritto è uno degli estensori, Antonino Lo Re, direttore dell’unità di ostetricia e ginecologia di Belluno e Pieve. «Il documento nasce dalla necessità di garantire servizi di qualità agli utenti in tutta sicurezza e in ottemperanza alle norme vigenti. Norme che mettono in discussione i punti nascita addirittura sotto i mille parti», precisa Lo Re, che prosegue: «Fermo restando la peculiarità di Pieve, non spetta certo a noi medici decidere se lasciare o meno il punto nascita». I dati parlano chiaro: l’anno scorso a Pieve sono nati 147 bambini, a Belluno 613. «Se la politica decidesse di mantenere il punto nascita cadorino, bisognerebbe investire per tenerlo in sicurezza, dotandolo di personale con una formazione appropriata. La mia idea era di fare un gruppo di lavoro unico Pieve-Belluno, ma se per la parte medica non ci sarebbero problemi a far ruotare il personale, per le altre figure il veto arriva dal contratto. Bisognerà sedersi attorno a un tavolo e chiedere indicazioni certe alla Regione: l’obiettivo è la riduzione al minimo delle criticità insite in un reparto con volume di interventi ridotti». Lo Re insiste: «Quel documento contestato dai sindaci, altro non è che un grido di allarme per spingere le istituzioni a fare qualcosa: noi siamo disponibili a lavorare, ma solo in condizioni di sicurezza». L'ultima parola spetta ora alla Regione e alle schede ospedaliere. «Se l’input fosse quello di mantenere il punto nascita, partiremmo con un gruppo unico e la rotazione completa del personale medico e non, così da avere professionalità omogenee. A salvare le vite non è la presenza di un punto nascita, ma la capacità di dare prestazioni di qualità. Ora abbiamo solo un'arma spuntata». Paola Dall’Anese