Se ne va oggi un pezzo di storia del Cadore. A dire il vero, non se ne va lontano – si ferma a Longarone – ma la carica simbolica è innegabile, forse anche più del disagio di decine di lavoratori. Con la chiusura della Marcolin di Vallesella si chiude un capitolo e non è detto se ne riapra subito un altro. Nelle parole dei sindaci ci sono amarezza ma anche una buona dose di realismo, quel tanto che basta per guardare altrove e magari cominciare a parlare davvero di “rilancio”.
Con la Marcolin si chiude in Cadore la grande epopea delle fabbriche capaci di dare da lavorare a centinaia di famiglie. Quasi come quelle di “pianura”, dove per “pianura” si intendono anche la vallata longaronese e la Valbelluna. Insomma, è la fine della decantata autosufficienza se mai davvero c’è stata.
Parte da Angelo Frescura il sindaco di Calalzo, Luca De Carlo: «Era nativo di Rizios, ma poi si stabilì a Padova. Nonostante avesse un’attività avviata, ritornò in Cadore per fondare la sua fabbrica. Fu la prima. E’ da lì che è partito tutto». Correva l’anno 1878.
Ma adesso è diverso: “atti d’amore” come quelli di Frescura non sono più possibili all’epoca della globalizzazione. «Io preferisco parlare di mondializzazione», afferma De Carlo. «Anche guardando al passato mi sento amareggiato, ma serve realismo. Adesso dobbiamo capire da che parte vogliamo andare». Il presupposto? «Le nostre bellezze non sono esportabili».
Concetto quest’ultimo condiviso in pieno anche dal sindaco di Domegge, Lino Paolo Fedon. E’ nel suo comune – a Vallesella – che oggi verrà recitato un requiem ideale. Ma Fedon è schietto: «E’ inutile piangere. Il problema doveva essere affrontato quindici anni fa. Oggi non ha senso, resta solo l’amarezza».
Il primo cittadino di Domegge se da un lato ammette che «il passaggio è triste», dall’altro dice anche che adesso «il problema non è la Marcolin, ma una strategia complessiva di sviluppo che ancora non c’è».
Eppure – come sottolinea lo stesso Fedon – le iniziative non mancano: «I comuni del Cadore stanno lavorando. Quando parliamo di strategia intendiamo una serie di azioni, che possono andare dalla filiera del legno all’artigianato passando per il turismo». Insomma, meglio non fare dietrologie e guardare avanti anche perché ricorda Fedon «ci sono tante piccole aziende che continuano a tirare avanti».
E proprio il ruolo di questi imprenditori è sottolineato dal collega di Lozzo di Cadore, Mario Manfreda. «Ci sono realtà che stanno soffrendo ma che, nonostante tutto, resistono», dice guardando alle aree industriali e artigianali del territorio. «Qualcuna», dice il primo cittadino, «sta tornando a riassumere». Piccoli segnali di fiducia dai quali, secondo Manfreda, bisogna ricominciare.
Manfreda è comunque ottimista: «Vedo una economia che si sta rinnovando seppure lentamente, mentre da parte degli amministratori c’è voglia di battagliare». Per il sindaco ci sono due punti imprescindibili: «L’uso delle risorse deve andare a beneficio delle comunità di appartenenza, e poi la montagna. Per attirare le persone servono maggiori comodità. Penso solo all’informatizzazione di alcune aree ancora poco servite. Ma qui occorre che sia la politica a farsi avanti in maniera decisa».
Oggi il saluto del Cadore alla Marcolin. Una storia già vista e che si è ripetuta per tutte le grandi, ma non per questo residenti, amministratori, ma soprattutto lavoratori, riescono a farci l’abitudine.
di Cristian Arboit (fonte: Il Corriere delle Alpi)