Cari amici delle Dolomiti,
dopo tanto frastuono, vorrei poter dire due parole e raccontarvi come sono arrivato al logo vincitore del concorso.
NON SONO LE MIE DOLOMITI
E’ fisiologico che un logo non piaccia a tutti, pertanto quando mi hanno chiesto cosa ne pensavo della rivolta di alcuni, dicevo: è normale. Ognuno di noi ha un’immagine delle Dolomiti legata alla propria esperienza emozionale e questa emozione non può diventare linguaggio, né tantomeno logo. La percezione della natura è più semplice del linguaggio perchè non ha mediatori, è diretta, arriva alla pelle. Ma il mondo dell’uomo è fondato su segni e simboli che devono trasmettere significati in tempi rapidi. Per poter empatizzare con loro bisogna sforzarsi un pò e aprirsi verso quel mondo estremamente dinamico, dai contorni sempre più complessi e sfuggenti. Dobbiamo portarci tutti all’altezza di questa sfida. L’elaboratore di segni dovrà arrivare a una sintesi senza mai banalizzare. L’avventore, per leggere e capire meglio, dovrà conoscerne gli alfabeti. L’alternativa è chiudersi nel “rassicurante conosciuto” e trasformare il nuovo (o quello che non si comprende) nel male assoluto. Detto questo, la critica ci sarà sempre e comunque perché i gusti non sono tutti alla pesca.
IL CONCORSO
Non partecipo quasi mai ai concorsi, partecipo solo se il tema mi affascina e se trovo una chiave. In questo caso la porta da aprire era la geomorfologia. Radiografando per giorni queste fantastiche montagne attraverso le immagini e i testi di poeti e scrittori, architetti e viaggiatori sono arrivato a 2 conclusioni: 1. la forma di queste montagne sono state da sempre assimilate all’architettura: torri, pinnacoli, campanili; l’arte gotica si ispira a queste guglie; per Le Corbusier – le costruzioni più belle del mondo; 2. la superficie è un “tessuto”, una pelle segnata da forti spinte verticali intrecciate da linee orizzontali.Qualcuno penserà che sono solo parole, ma è attraverso il linguaggio che riusciamo a esprimerci e, più conosciamo, più cose riusciamo a vedere e capire. Se la giuria non avesse avuto i miei stessi occhi, non sarei qui a scrivervi.
MANHATTAN O DOLOMITI?
E’ su questa tesi che il marchio prende forma, lasciando aperta questa speciale e unica ambiguità visiva: Dolomiti come costruzioni. Entrando a far parte del Patrimonio Unesco le Dolomiti diventano dell’umanità. Le Dolomiti devono essere rappresentate nel loro specifico identitario e trasmettere un’immagine istituzionale, senza enfasi e senza ruffianerie tra mille colori o fiorellini. Ma le Dolomiti non sono solo Natura. C’è anche l’uomo. Lui le abita e le vive e oggi si assume un’enorme responsabilità per continuare a godere della loro straordinaria bellezza. Ecco quindi che quell’elemento “urbano” che traspare e che ad alcuni da fastidio, ci racconta che quelle cime saranno osservate da occhi attenti, nel loro percorso di tipo naturale e antropizzato, tutelate e aiutate.Mi raccontava un giornalista che Messner, a proposito di questo logo, avrebbe citato il film dell’altoatesino Luis Trenker del ’33, “Il figliol prodigo”, dove le Dolomiti sono visivamente traslate con i grattacieli di Manhattan. Non lo sapevo, ma é così, l’uomo si è sempre ispirato e appassionato più a queste montagne che ad altre, perché assomigliano a qualcosa fatto dall’uomo. Sembrano dirci di essere simili a noi e, in fondo, è quello che tutti gli uomini cercano.
Un grande grazie a tutti.
Arnaldo Tranti