Cinque giovani affermati parlano della loro esperienza agli studenti.
Ma sottolineano l’importanza di fare pratica lavorativa anche fuori provincia: «Un modo per migliorarsi».

«Siamo riusciti a non andarcene. Però per comprendere quanto sia bello vivere in Cadore, abbiamo dovuto lasciarlo per far esperienza altrove, per sapere cosa c’è fuori»: questo è stato il messaggio che Federica Invidia, Matteo Gracis, Alex Pivirotto, Emiliano Oddone e Claudio Sacco Proila, hanno lanciato agli oltre 200 studenti del Liceo Scientifico, della Scuola di Ottica e dell’Istituto Industriale di Pieve di Cadore, riuniti nell’auditorium Cos-Mo per comprendere quale sarà il loro futuro in montagna.
Sono state cinque testimonianze che hanno disegnato ai giovani un futuro molto meno più nero di quanto non appaia oggi, visto attraverso gli occhi di molti genitori e del mondo amministrativo – economico che gestisce il territorio. Già il sindaco, Maria Antonia Ciotti, dando il saluto della sua amministrazione, aveva portato una ventata di consapevolezza, stimolando gli studenti presenti a lottare per difendere i servizi che, come l’ospedale, oggi sono in pericolo.

Sono quindi iniziate le testimonianze dei giovani che sono riusciti a quadrare il cerchio della vita in montagna: «Quando avevo la vostra età – ha esordito il primo testimone Matteo Gracis – quasi odiavo il Cadore e il paese dove abito. Con rabbia l’ho lasciato per andare a studiare a Milano, dove ho frequentato l’università ed ho iniziato a lavorare. È stata un’esperienza molto interessante, che mi ha formato e mi ha anche fatto capire quanto bene si viva nelle Dolomiti. Sono rientrato e ho sviluppato un’attività che in Cadore non esisteva: un anno fa ho realizzato un portale internet (NuovoCadore.it), che mi sta dando grandi soddisfazioni. Il Cadore è terra fertile, dove c’è ancora molto spazio da coprire».
Visto che si parlava di montagna, non poteva mancare un’esperienza sul territorio. L’ha portata Alex Pivirotto, 27 anni, guida alpina e presidente del “Gruppo Rocciatori Ragni di Pieve di Cadore”. «È importante che chi vive in montagna abbia una cultura della montagna, grazie alla quale conoscere il territorio ed anche le opportunità che esistono per vivere e lavorare. Il lavoro della guida oggi non è più l’accompagnatore dello scalatore, ma è un lavoro che impegna anche nel far conoscere il territorio. C’è per tutto l’anno, anche nell’ambito della sicurezza del lavoro. E’ un lavoro dinamico».
Particolarmente interessante l’esperienza di Federica Invidia, architetto di grandi speranze («sono piuttosto brava», ha affermato) che dopo 10 anni d’ufficio, complice anche l’amore verso il suo compagno, ha deciso di fare la cosa che più gli piaceva: l’agricoltore. Oggi oltre che gestire la stalla e fare formaggi («Ho dovuto tornare a scuola per imparare a farlo») gestisce anche il Rifugio Antelao. Sono seguite le testimonianze di Claudio Sacco Proila, laureato in fisica che lavora come ricercatore al Multiphysic Lab di Vallesella e di Emiliano Oddone, geologo. La sintesi finale è stata di Annibale Salsa, che ha constatato come non ci sia più contrapposizione tra pianura e montagna ed ha auspicato un ritorno alle attività del passato, con la moderna tecnologia, com’è successo in Francia, dov’è stata istituita la laurea in pastorizia.

di Vittore Doro (fonte: Corriere delle Alpi)