Il sindaco Ciotti sta preparando un ricorso per evitare che i quattro vengano rimandati in Sudan. Consultato un legale che in contatto con la questura: «L’Italia non può prendersi la responsabilità di rimpatriarli»
Ai quattro profughi arrivati da Lampedusa, e rimasti a Pieve dopo la partenza degli altri 65 arrivati con loro, il governo non ha concesso il “diritto d’asilo” previsto per chi proviene da un Paese in guerra. Per la cronaca, nella Casa alpina di Nebbiù ci sono attualmente altri 30 profughi; ma questi sono arrivati solo un mese fa, perciò il problema non li riguarda. Contro questa decisione il sindaco di Pieve, Maria Antonia Ciotti, ha deciso di presentare ricorso.
«Il ricorso», ha affermato il sindaco, «non è stato ancora formalizzato, perché l’Amministrazione intende conoscere più a fondo cosa sta succedendo. D’altronde abbiamo 30 giorni di tempo per farlo. In questi giorni ci stiamo consultando con un legale che sta seguendo anche altri casi, e abbiamo contattato la questura e le altre forze dell’ordine per cercare di trovare una soluzione che consenta ai ragazzi di restare a Pieve. C’è poi da tenere anche presente il fatto che uno di loro è minorenne e, per non creare problemi ulteriori, l’ho preso in carico personamente, assumendone la patria potestà».
Cosa succederebbe se non ottenessero l’asilo? «Dovrebbero essere rimpatriati in Sudan. Ciò che trovo strano è il fatto che il loro Paese d’origine è in guerra e, se i nostri profughi dovessere essere rimpatriati, si troverebbero davanti ad una situazione molto grave: quella di potere essere catturati e condannati a morte. Non credo che l’Italia possa assumersi questa responsabilità. Oggi, grazie alla convenzione stipulata con l’amministrazione statale, il Comune di Pieve, per ogni rifugiato, riceve 46 euro al giorno, con i quali è pagato il loro mantenimento. Il Comune di Pieve ha trovato per loro un appartamento nel centro storico e con quei soldi paga tutte le spese, ad eccezione delle bollette della luce che sono a carico mio. Il problema vero», prosegue il sindaco, «è trovare loro una sistemazione definitiva grazie alla quale, alla scadenza della convenzione, con la concessione dell’asilo, possano trovare un lavoro stabile per mantenersi».
Esiste realmente questa possibilità? «Se non ci fosse stato il problema della convenzione di Ginevra che impediva la loro assunzione, avrebbero già trovato da lavorare. Questo perché in questi mesi si sono dimostrati non solo volonterosi, ma anche capaci: lo testimoniano i chilometri – forse 5 – di ringhiere poste ai lati delle strade, che hanno dipinto come volontari, ridando un volto nuovo a molte strade. Inoltre, sotto la supervisione di un dipendente comunale, hanno fatto anche i lavori di sistemazione e messa in sicurezza dello stadio di Saccon».
Fonte: Corriere delle Alpi