A qualcuno non piace caldo. I riflessi del sole sui canali che tanto hanno ispirato l’animo di artisti, come per esempio quello di William Turner, sono stati una vera preoccupazione per chi faceva del pallore un simbolo di nobiltà. In una città come Venezia il riverbero della luce sull’acqua rischiava di scalfire il biancore del volto, provocare rughe, ma soprattutto annerire la pelle, tratto per l’epoca tipico delle classi inferiori. Insomma, vade retro sole. Il fastidio doveva essere tale da spingere qualcuno a inventare un parasole da viso in modo da proteggere le nobildonne durante le attraversate sulle imbarcazioni. Sembra infatti che le ricche signore usassero una specie di specchio tondo, provvisto di manico, realizzato con una lente verde, colore caratteristico del vetro veneziano, ricavato da un materiale ancora misterioso.
Martedì 7 alle 18 al Museo dell’Occhiale di Pieve di Cadore saranno visibili per la prima volta cinque esemplari (sugli otto conosciuti) dei cosiddetti «Vetri da Gondola o Vetri da Dama», esposti alla mostra «Pararse i Oci nella Venezia del ’700», a cura di Laura Zandonella, su progetto dell’ottico veneziano Roberto Vascellari e in collaborazione con l’Assopto, aperta fino al 30 novembre. Fino a poco tempo fa l’unico esemplare in questione visibile (un altro è nella collezione privata di Ingrid e Werner Weismueller) apparteneva alla collezione del designer di occhiali Pierre Marly, esposta a Parigi al «Musée des Lunettes et Lorgnettes», attualmente chiuso. Il patrimonio, acquistato da Essilor, vive oggi al «Musée des Lunettes» nella regione Jura a Morez, la capitale degli occhiali francese. Il nome dell’antico museo non era comunque casuale. La prima persona che nomina questi bizzarri oggetti iniziando a solleticare la curiosità dei collezionisti è stata infatti Madame Alfred Haymann, una nobildonna francese nata a Parigi nel 1844, autrice di un libro intitolato appunto Lunettes et Lorgnettes de Jadis, edito da J. Leroy nel 1911 (300 copie stampate, 40 rimaste in circolazione). È in questo famoso libro che la signora inserisce per la prima volta al mondo una stampa con la raffigurazione di un «vetro da gondola o vetro da dama», descrivendolo come: «Occhiale da gondola con vetro verde per preservare la vista dal riverbero. Venezia, XVIII sec.».
Forse madame ne possedeva uno, ma non è stato mai ritrovato. Gli altri cinque esemplari hanno una storia non da meno. Qualche mese fa il collezionista milanese Luca Maioli riesce ad acquistare la sezione vetri colorati di una collezione tedesca di lenti, in vendita. Tra vetri azzurri, viola, gialli e rossi, appaiono anche cinque esemplari di «vetro da gondola», di cui uno piccolo, destinato con molte probabilità a un bambino, tutti rigorosamente realizzati in vetro verde. Grazie al supporto dell’Assopto l’ottico Roberto Vascellari, ne acquista uno, fatto di legno decorato con la classica lacca veneziana, raffigurante una donna con un cesto pieno di fiori. È lungo circa 30 cm e largo 18.
A questo punto entra in campo lo spirito curioso di Roberto Vascellari che già qualche tempo fa aveva richiamato l’attenzione su un particolare paio di occhiali, ancora una volta veneziani, chiamati «Occhiale Goldoni», muniti delle stesse lenti verdi. Siamo nel Settecento, i raggi UV vengono scoperti nel 1870. Impossibile che se ne sapesse perfino l’esistenza. Eppure, grazie all’esperienza, gli ottici di quel periodo avevano probabilmente capito che le lenti verdi, fabbricate solo a Venezia, non recavano danni agli occhi. Come mai proprio le verdi? Così, per curiosità, Vascellari prova a mettere le lenti verdi veneziane sotto lo spettrofotometro e rimane altamente stupito di quello che vede. Le lenti verde veneziane riparano con grandissima precisione dai raggi UV, addirittura quelle degli «occhiali Goldoni» superano quelle prodotte da Giuseppe Ratti nel 1956 per la spedizione di Lino Lacedelli sul K2. Si informa contattando il Maestro Vetraio Gianni Moretti e il ricercatore padovano Sandro Zecchin fino alla Stazione Sperimentale del Vetro di Murano, diretta da Roberto Falcone, che conferma che questa caratteristica è data dalla presenza del ferro nel materiale, ma più di questo non può dire, almeno fino a quando non si analizzi un frammento di lente verde. Quelli da collezione non si possono usare, ma ci sarebbe una sola possibilità che si trova al Museo Correr. Qui, nell’archivio, c’è un occhiale a forbice con lenti verdi rotto, ma nessuno ha ancora chiesto il permesso. Si potrebbe svelare una curiosità che appartiene alla storia veneziana e, fanno sapere, basterebbe una scheggia di soli tre millimetri…
di Vera Mantengoli – fonte: Mattino Padova
Di seguito il depliant della mostra (clicca per ingrandire):