«Non abbiamo bisogno di nuove casse di espansione, lungo il Piave. Le abbiamo già, in provincia di Belluno. Sono le dighe, basta svuotarle di limo, terra, ghiaia, degli altri detriti che le riempiono per il 50%, in taluni casi addirittura per il 70%». Allibiscono i sindaci del Cadore, Luca De Carlo di Calalzo, Antonia Ciotti di Pieve di Cadore, Lino Paolo Fedon di Domegge, quando da Treviso ricevono quest’affermazione di Mirco Lorenzon, assessore provinciale della Marca. Lui è leghista. Ma sulla stessa lunghezza d’onda si pone l’ex assessore regionale alle attività produttive, Vendemiano Sartor, del Pdl.

Entrambi abitano vicino al Piave, là dove il fiume è pensile. «Anziché fare un invaso, a Falzé, per trattenere 90 milioni di metri cubi d’acqua, perché non ridurne la capacità a 45 milioni, magari anche a meno, e non svuotare il lago di Centro Cadore? Lago che – spiega Sartor – ha una capacità potenziale di 95 milioni di metri cubi d’acqua, mentre oggi si ferma a 45 milioni perché contiene mezza montagna di terra, melma, ghiaia, altri detriti».

Insiste Sartor: «Ho la massima stima di Luca Zaia ma debbo dirgli che sbaglia quando per salvare le popolazioni rivierasche del medio Piave propone le casse di espansione a Ponte di Piave. Non si dimentichi che nel 1966 a Nervesa il Piave portava 5 mila metri cubi d’acqua al secondo e che a Ponte di Piave la capacità di contenimento era di 3mila e 300 metri cubi d’acqua al secondo.
Come dice l’ingegner D’Alpaos, ci può salvare solo lo sbarramento di Falzé, magari dimezzandone la portata. Il resto? Svuotiamo la diga sul Piave in Cadore, per metà occupata da terra e ghiaia, e riempiamola d’acqua».

Il giorno dopo l’emergenza maltempo di domenica scorsa, il governatore Zaia aveva detto infatti che intervenire sul Piave “è un’assoluta priorità” e che, anziché realizzare lo sbarramento in Comune di Sernaglia, progetto respinto dalle popolazioni, erano consigliabili le casse di espansione più giù, verso Ponte di Piave e dintorni. Apriti cielo: dal Medio Piave è esplosa la protesta. Che però interseca, oggi, quella dei sindaci del Cadore, dando luogo ad una guerra, per fortuna pacifica. Ma sempre guerra è.

«Ai leghisti trevigiani io dico che noi vogliamo essere ‘paroni in casa nostra’, quindi giù le mani dalle nostre dighe», s’infervora Antonia Ciotti, sindaco di Pieve di Cadore. «Vogliamo dirla tutta, davanti a tanta prepotenza? A noi basta un lago turistico, non c’interessa che produca energia per i trevisani, quindi può ulteriormente riempirsi di limo e ghiaia», insiste Ciotti. «A proposito: lo mandiamo da loro il nostro limo?», si chiede anche.

«La pulizia del lago potrebbe rilanciare la ferrovia – suggerisce ancora il trevigiano Sartor – per il trasporto della ghiaia nelle nostre cave, quelle da sistemare, o nei terrapieni delle nuove opere stradali».

«Le cave? Se le riempino d’acqua», sbotta Luca De Carlo, primo cittadino a Calalzo. «Sono davvero simpatici, questi trevigiani: vogliono ancora venire a comandare in casa nostra. Lo svuotamento è necessario, perché ogni anno entrano in lago circa 600 mila metri cubi di ghiaia, ma è un’operazione ciclopica, che richiede ingenti risorse e tempi lunghi; sarà più saggio, dunque che i trevigiani, anziché far conto sui nostri bacini, si costruiscano i propri. Noi abbiamo già dato, con un surplus d’acqua per irrigare le ghiaie, come ha detto l’ingegner D’Alpaos».

Per Lino Paolo Fedon, sindaco di Domegge: «Svuotare il lago richiede tempi lunghissimi, per evitare quello che sarebbe un disastro turistico se la diga diventasse un cratere a cielo aperto», avverte Lino Paolo Fedon, sindaco di Domegge. «Noi già patiamo le laminazioni ogni anno in settembre, quelle dell’Enel per preparare il bacino al riempimento autunnale, proprio per garantire la sicurezza ai trevigiani e veneziani. Altro non possiamo dare».
Quindi? «Quindi il Quartier del Piave accetti di fare qualche sacrificio, costruendosi la sua grande cassa di espansione. A tempo debito noi faremo quanto ci è necessario».

di Francesco Dal Mas

Fonte: Corrierealpi.gelocal.it