Dalla “via regia”, tra Valle di Cadore e Perarolo, lo sguardo spazia verso Caralte e i boschi a protezione del paese. Il sole splendido li illumina di luce, per cui appaiono ancora di una bellezza quasi prepotente. E pazienza per quell’ardito Ponte Cadore, perdonato perché appunto ardito.

A Maria Grazia Brusegan, mentre accelera il passo con gli amici di Tam-Cai, di “Vivere l’ambiente” e di “per altre Strade Dolomiti”, viene spontaneo chiedersi: perché dobbiamo asfaltare questi spazi ancora wilderness? La Val Montina, questa sì davvero selvaggia, è lì, ad un passo. La domanda è superflua, la risposta è infatti: il no al proseguimento dell’autostrada A27 non può essere che evidente. Un no rotondo, senza se e senza ma. Specie alla luce delle inchieste di questi giorni sulla Mantovani. E il rischio di infiltrazioni mafiose nelle grandi opere al Nord. «Come dimenticare il grido d’allarme lanciato all’epoca da Montanelli sulle cosche che si nascondevano dietro il ‘mostro’ dell’A27?», rievoca Toio de Savorgnani, di Mountain Wilderness. E ancora: «Non si dimentichi neppure la minaccia dell’Unesco: toglierà la sua tutela dalle Dolomiti se saranno asfaltate».

Nell’ambito delle manifestazioni del 150° anniversario dalla fondazione del Club alpino italiano, la Commissione Tutela Ambiente Montano (TAM) ha promosso una ricerca su tutto il territorio nazionale delle peculiarità della montagna italiana, raccogliendo e mappando 150 casi – numero simbolico legato al festeggiamento in corso in casa Cai – e predisponendo per ogni situazione una scheda e un evento. Tra i 12 casi veneti c’è, appunto, quello del proseguo dell’A27 da Pian di Vedoia a Caralte. Ambientalisti ed alpinisti hanno compiuto una ricognizione, in mattinata, nella valle del Fadalto. De Savorgnani, Giovanna Deppi e Antonio Genova li hanno accompagnati tra i piloni dei viadotti.

«Ci sembrava di penetrare in una selva di cemento», ammette Brusegan. «Quei pilastri di cemento sono indubbiamente suggestivi, imponenti, nemmeno tanto lugubri bombardati dai raggi del sole, ma sicuramente e comunque esagerati. Sarebbe un disastro piantumare anche la valle del Piave di questi fantasmi». E per vedere l’”effetto che fa”, gli escursionisti sono saliti poi a Perarolo dove la Cooperativa “le Mat” li ha fatti toccare con mano che cos’è un turismo sostenibile, alternativa radicale al turismo mordi-e- fuggi di un’autostrada che non ti permetterebbe nulla di residenziale. Suggestivo, davvero, percorrere la storica “via regia”, magari facendo memoria degli antichi romani che conquistarono l’Europa “senza le barbarie devastanti e cementificatrici di oggi”. I rappresentanti di “Per altre strade” hanno spiegato ogni aspetto del futuro “passante Alpe Adria”. «Per i paesi attraversati dal passanti accadrà ciò che è avvenuto in Val Lapisina: la desertificazione dei servizi, delle attività commerciali e produttive», lancia l’allarme Brusegan. «Tra Vittorio Veneto, il Faldalto, Santa Croce al Lago, la maggior parte delle case sono chiuse e abbandonate, non ci sono scuole, pochissimi i bar, non esistono negozi, hanno chiuso le poste, i pochi alberghi e ristoranti che sono rimasti attraversano difficoltà indicibili, perfino le Ferrovie dello Stato hanno allo studio la chiusura di corse dei treni. Vogliano che altrettanto accada tra Pian di Vedoia ed il Cadore?». Ma, appunto, c’è anche il pericolo della criminalità arrembante: «Magari più sofisticato del passato, ma il malaffare è sempre in agguato, come denunciava Montanelli», conclude De Savorgnani.

di Francesco Dal Mas

Fonte: Corrierealpi.gelocal.it

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