Cinquecento euro, un borsone di vestiti e effetti personali, un futuro tutto da costruire.
Ieri mattina tutti i profughi che erano rimasti ospiti nelle strutture bellunesi hanno lasciato la provincia. Chi li ha assistiti in questi ventuno mesi li ha accompagnati alla stazione, ha consegnato loro cinquecento euro in contanti (stanziati dal ministero dell’Interno per agevolare le partenze, e concessi solo a chi abbandonava gli alloggi) e ha augurato loro buona fortuna. Ne avranno bisogno tutti, visti i tempi che corrono, con la difficoltà di trovare un lavoro per mantenersi.

Ne erano rimasti pochi: otto a Belluno, quattro a Feltre (il 19 gennaio erano in dodici). Quelli ospitati a Sedico se ne sono andati a metà febbraio, con 350 euro in tasca, quelli di S. Stefano hanno preferito commutare la cifra in un biglietto aereo per la Svezia. Resta solo un giovane del Bangladesh: a Taibon, vive nella casa di soggiorno perché è malato e la prefettura sta cercando una sistemazione adeguata.

Si chiude così un’esperienza durata oltre un anno e mezzo. I profughi scappati dalla Libia ma originari di varie zone dell’Africa erano arrivati nel Bellunese a maggio 2011. Erano 89, e inizialmente sono stati ospitati a Santo Stefano di Cadore, uno dei Comuni che si è dimostrato più sensibile nell’accoglienza. In giugno i ragazzi (ormai diventati più di cento in seguito a nuovi arrivi) sono stati “smistati” in diverse località della provincia. Il 17 giugno la foresteria dell’aeroporto di Belluno ne ha accolti undici. Tutti cercavano in Italia un’occasione per ricostruirsi una vita, lontano dalle guerre che tormentano l’Africa. Con il passare dei mesi i Comuni, le Comunità montane e i vari enti che si sono occupati della gestione dell’emergenza (attraverso le convenzioni stipulate con la prefettura di Venezia, soggetto attuatore di quella fase, durata da maggio 2011 al 31 dicembre 2012) hanno lavorato per l’integrazione dei profughi. Hanno insegnato loro l’italiano, anche se non tutti lo hanno voluto imparare, li hanno impegnati in semplici lavori di pubblica utilità, hanno cercato di farli sentire parte della comunità, che non ha mai mostrato un atteggiamento ostile nei loro confronti.

Anzi, a Santo Stefano tre ragazze nate e cresciute all’ombra delle Dolomiti si sono innamorate e hanno sposato tre loro coetanei del Niger, la Nigeria, il Gambia. Cinque mesi da una di queste unioni è nata una bambina. Dal 1° gennaio la competenza in materia è stata trasferita alle prefetture locali, che hanno dato altri due mesi di tempo ai profughi per decidere del loro futuro. Ai ragazzi è sempre stato spiegato che la fase dell’emergenza non poteva durare in eterno.

Un mese fa erano rimasti in 19. Ieri sono partiti tutti. Degli 8 ragazzi nigeriani ospiti della foresteria dell’aeroporto, sette hanno preso il treno verso Padova, uno verso Venezia. «Non è un lieto fine, però», commenta il sindaco Jacopo Massaro. «Tutta la situazione è stata gestita male dallo Stato, che l’ha fatta passare per un’emergenza di protezione civile quando avrebbe dovuto trattarla come emergenza umanitaria».
Sociale, insomma, non tecnica. Gli immigrati hanno un permesso di soggiorno valido fino al 31 dicembre 2013, ma non hanno un lavoro. Potranno viaggiare in Italia o in Europa, beneficiare dei sistemi di assistenza previsti anche per i cittadini italiani, che però non garantiscono sussidi o alloggi. Cosa faranno del loro futuro nessuno lo sa, tanto meno i sindaci.

di Alessia Forzin

Fonte: Corrierealpi.gelocal.it