È iniziata la corsa verso il decimo anniversario del riconoscimento, da parte dell’UNESCO, delle Dolomiti patrimonio dell’umanità. Il 2019 sarà un compleanno da festeggiare alla grande. La Magnifica Comunità di Cadore sta già pensando a come coinvolgere l’intero Cadore con una serie di iniziative che aiutino a capire l’importanza strategica che è venuto ad assumere il riconoscimento. In questi nove anni molto è stato fatto, a partire dal primo compito richiesto da UNESCO: la Strategia Complessiva di Gestione. Non un esercizio accademico né una risposta ad un adempimento ma la scrittura partecipata di una comune partitura suonata da un’orchestra composta da cinque Province (Belluno, Bolzano, Trento, Udine, Pordenone) dalle condizioni istituzionali molto diverse che, con lungimiranza, hanno saputo lavorare insieme superando le barriere delle loro differenze ed esprimere una visione capace di andare oltre i confini amministrativi, cogliendone appieno la portata. La parola chiave su cui è stata impostata la gestione è “rete”: rete tra luoghi, culture e istituzioni.
La Fondazione, istituita l’anno successivo al riconoscimento UNESCO, è il luogo nel quale il bene dolomitico può avere una visione comune di sviluppo e integrazione. “Ora – sottolinea l’intraprendente direttrice della Fondazione Dolomiti UNESCO, Marcella Morandini – ciascuno è chiamato più che mai a fare la propria parte per far si che la grande squadra dolomitica compia un autentico salto di qualità nel conseguimento delle finalità richieste da UNESCO”.
Molto è stato fatto ma molto resta ancora da fare. Soprattutto sul piano culturale, della comprensione del riconoscimento UNESCO. Un riconoscimento che ha attivato più aspettative che consapevolezza. La maggioranza dei residenti nelle valli dolomitiche ha capito bene che l’iscrizione di un Sito nell’elenco del Patrimonio Mondiale significa che il suo valore specifico viene fatto conoscere ovunque. Ma guai a ricondurre questa forza ad una mera operazione turistica. Anche perché la Lista del Patrimonio Mondiale non è una Lista per la promozione turistica di alcuni tra i posti più belli e significativi del mondo.
“L’UNESCO, come noto – precisa Marcella Morandini – è l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa di promuovere la pace attraverso educazione, scienza e cultura per garantire il rispetto universale della giustizia, dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali che la Carta delle Nazioni Unite riconosce a tutti i popoli, senza distinzione di razza, sesso, lingua o religione. E l’istituzione della Lista del Patrimonio, nel 1972, è nata dalla precisa volontà di individuare beni, culturali e naturali, che rivestano un “valore universale eccezionale” per l’intera umanità presente e futura, e la cui noncuranza rappresenterebbe una perdita incalcolabile, un “impoverimento nefasto del patrimonio di tutti i popoli del mondo”. Emerge quindi chiaramente il valore educativo e di coinvolgimento delle comunità locali innanzitutto nel prendere coscienza del valore del proprio Patrimonio, assumendosi la responsabilità della conservazione attiva e della trasmissione alle generazioni future del Bene conservandone l’integrità. Da questo risulta evidente che il riconoscimento UNESCO non è riducibile né banalizzabile in un marchio per la promozione turistica”. Si però è evidente che essere uno dei 200 Siti naturali al mondo non può non avere sicuramente ricadute positive per il territorio e le comunità che lo abitano. “Verissimo. È la notorietà che porta a questo. E questa promozione io la considero un bene a patto che al riconoscimento vengano associati un nuovo approccio alla tutela, che deve essere attiva, e lo sviluppo di azioni coerenti di governo del territorio che sappiano guardare alla sostenibilità e alla qualità”. Ed è in questa direzione che lei non si stanca a chiedere un salto di qualità culturale nella concezione e nella gestione del Bene Dolomiti. “E non mi stanco a ricordare che c’è chi vuole aiutarli a compiere questo salto di qualità. Mi piacerebbe che gli abitanti delle Dolomiti si rendessero conto che la Fondazione è uno strumento a disposizione dei territori per gestire il Bene Dolomiti in maniera coordinata e congiunta, istituita in accordo con UNESCO all’indomani del riconoscimento. Non è l’ente di promozione turistica delle Dolomiti né un organismo di controllo. Il suo funzionamento si basa sull’idea della gestione a rete, sul principio che la cooperazione sia da preferire alla chiusura in compartimenti territoriali in competizione tra loro. Molte sono le iniziative portate a termine, altrettanti i progetti in cantiere nei territori. Per chi ha voglia di mettersi in gioco, la Fondazione Dolomiti UNESCO è a disposizione”. Noto un pizzico di scoraggiamento nel suo racconto. “Purtroppo, molto spesso, s’impongono il disinteresse e la disattenzione nei confronti di iniziative che alla fin fine rispondono anche a quelle aspettative turistiche che tutti auspicano. Dico questo perché non passa giorno che qualcuno non mi rivolga domande tipo: Quali ricadute economiche ci sono state nelle valli dolomitiche dopo il riconoscimento? Oppure: È quantificabile l’incremento di visitatori sulle Dolomiti dopo l’arrivo del marchio UNESCO? E lei cosa risponde? “Rispondo che la ricaduta economica è già evidente e che l’incremento delle visite è quantificabile. Ma rispondo anche che la Lista del Patrimonio Mondiale non è una Lista per la promozione turistica di alcuni tra i posti più belli e significativi del mondo. La grande attenzione, anche internazionale, nasce dal valore innegabile del riconoscimento UNESCO, anche solo a livello di comunicazione. Allo stesso modo è importante puntare sulla presa di coscienza da parte delle popolazioni locali. Utilizzare il riconoscimento solo a fini promozionali è sbagliato e fuorviante, mentre può diventare importante legare a tutto questo politiche attive a favore del Patrimonio. E per politiche attive non si intendono progettoni culturali astratti ma, più semplicemente, adesione e partecipazione alle proposte fatte dalla Fondazione con i corsi di Formazione per operatori turistici, la creazione di una rete dei rifugi alpini o l’esposizione, da parte dei Comuni, dei cartelloni, forniti dalla Fondazione, che segnalano l’appartenenza di un territorio così vasto ad un unico Sito di rilevanza per l’Umanità”.
QUEI PREZIOSI CARTELLONI CHE MANCANO NEI NOSTRI COMUNI
Un caso simbolico della diffusa disattenzione da parte dei Comuni della provincia di Belluno, e quindi anche di quelli cadorini, verso le potenzialità del riconoscimento da parte dell’UNESCO delle Dolomiti Patrimonio dell’Umanità, è quello della cartellonistica stradale. Un cartello ha sempre molti significati. Questi, in particolare, sono il segno tangibile che permette di comunicare in modo congiunto ed unitario l’appartenenza di un territorio molto vasto ad un unico Sito di rilevanza per l’Umanità.
Il progetto prevede di installare i cartelloni in tutti i Comuni delle Dolomiti. Da luglio 2017, grazie alla Fondazione che ha seguito tutto l’iter autorizzativo con la Commissione Nazionale UNESCO e ha definito lo standard grafico, i Comuni (85 in tutte le Dolomiti) il cui territorio è compreso anche parzialmente all’interno dell’area cuore del Sito hanno la possibilità di installare un’apposita segnaletica agli accessi principali del proprio territorio comunale indicante l’appartenenza al territorio delle Dolomiti Patrimonio UNESCO. I Comuni interessati sono stati invitati a seguire tale impostazione grafica per provvedere poi alla realizzazione in maniera autonoma l’istallazione. A quasi un anno di distanza solo due comuni della Provincia di Belluno (Val di Zoldo e Auronzo di Cadore) hanno voluto cogliere questa possibilità. L’auspicio è che la bella opportunità venga colta al più presto anche dagli altri 34 Comuni bellunesi che ancora mancano all’appello. E di questi, 13 sono cadorini: Borca, Calalzo, Comelico Superiore, Domegge, Lorenzago, Lozzo, Perarolo, Pieve, San Vito, Selva, Vodo e Zoppè.
Cogliere questa opportunità sarebbe un segnale importante sia verso i residenti che i turisti. Se chi abita sul territorio dolomitico non crede al valore del Patrimonio e all’importanza di comunicarlo, chi altro dovrebbe farlo?
Articolo tratto da IL CADORE n.7-2018
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