Erano gli anni’70. A Pieve di Cadore si era formato un gruppo di alpinisti che aveva dato vita al primo Corso di Roccia. Gianpiero Genova, Alberto Rolandi, Dante Guindani, Giacomo Tabacchi e Urbano Tabacchi. Nonostante la riluttanza della mia famiglia ma spronato da un fratello di mia mamma anche lui alpinista, mi iscrivo al primo corso. Trovai subito sintonia con gli istruttori, specie col Maestro (Gianpiero) e con Urbano. Col Maestro condividevo la passione per la musica e con lui nei rifugi non era raro sentirci cantare a due voci le più belle canzoni di montagna. Con Urbano si creò subito una stima reciproca. Lui, nonostante le mie origini veneziane, mi adottò come uno dei suoi allievi preferiti insegnandomi le basi dell’arrampicata. Mi appiccicò il nome “venessia” che ancora oggi mi porto addosso.

Poi vennero altri corsi e diventai anch’io “istruttore” per i corsi roccia. Ero uno di loro! Urbano, bell’uomo dal fisico atletico era il più corteggiato da parte dalle allieve dei corsi. Ricordo che tutte lo volevano capocordata. Alle ragazze che gli chiedevano il suo indirizzo per inviargli una cartolina rispondeva: “scrivete Urbano-Italia” e il postino mi troverà. Sapeva scherzare ma anche essere a volte burbero e con le sue “ghignate”, divenute poi un marchio di fabbrica”, teneva a bada gli allievi.

Come non ricordare le serate al rifugio quando Ignazio (uomo di sinistra) ordinava “un litro di rosso” e Urbano (uomo di destra) ribadiva per me “un litro di nero!” Poi la disputa finiva con una sfida a braccio di ferro dove, nonostante la grande forza di Urbano, nulla poteva fare contro lo strapotere fisico della montagna di muscoli di Ignazio.

Il periodo dei corsi roccia è stato il periodo che ho frequentato di più Urbano apprezzandone le sue qualità. Sempre disponibile, appassionato come pochi all’insegnamento, tollerante e comprensivo anche con gli allievi meno predisposti all’arte arrampicatoria. Gran comunicatore nelle serate nei rifugi sapeva dare spettacolo con le sue storie, a volte condite con un po’ di fantasia e di strafalcioni grammaticali, ed era l’anima e il cuore dei corsi di quegli anni.

Finché ha potuto è sempre stato presente alle chiamate del Soccorso Alpino, non si è mai sottratto ai lavori più pesanti che comportava il soccorrere in montagna anni fa quando non esisteva l’apporto dell’elicottero. Sempre carico come un “mus” a portare i materiali più pesanti. E di questo ne andava fiero. E poi l’incontro con la bella Maria, le figlie e la pensione. È stato il faro per molte generazioni di giovani alpinisti e lascerà un vuoto incolmabile nella sua amata famiglia e nel mondo dell’alpinismo cadorino. Ora si troverà a “ghignare” con Gianpiero, Romano ed Ignazio su qualche cima delle sue amate montagne.

“Dio del cielo, Signore delle cime,
un nostro amico
hai chiesto alla montagna..
Ma ti preghiamo,
su nel Paradiso
lascialo andare
per le tue montagne.”

Andrea Gracis