La costruzione del Rifugio Antelao, ad opera della scrittrice Giovanna Zangrandi, iniziò nell’estate del 1946, subito dopo la fine della Guerra di Liberazione, che vide la Zangrandi protagonista attiva come staffetta partigiana. E proprio ai tempi della guerra, un giorno di passaggio per la sella insieme ad un compagno, la scrittrice concepì l’idea, o meglio il sogno, di costruirvi un rifugio alpino, materializzazione dell’intimo bisogno di rifondare l’esistenza lasciando che le proprie inclinazioni la allontanassero dagli orrori della guerra e dalle avversità della vita.

Zangrandi, originaria di Galliera, in provincia di Bologna, amava la montagna, questa nostra in particolare, che conosceva bene e che aveva scelto come patria elettiva trasferendovisi dopo la morte della madre – il padre era già mancato da lungo tempo – alla fine del 1937. Era un’alpinista appassionata e coraggiosa, che interpretava le ascese come affermazione di una libertà istintiva e primordiale, ma al contempo eticamente sana e rispettosa, divenuta per lei cifra di vita. Prima della guerra aveva affiancato alle sue ufficiali professioni di insegnante e giornalista, anche quelle “ufficiose” di guida alpina (abusiva) e lavapiatti nei rifugi durante le stagioni estive, che le tornarono utili quando scelse di cambiare radicalmente la sua esistenza e diventare rifugista.

Ai tempi della costruzione del rifugio, l’ampia e suggestiva sella prativa di Pradonego ospitava solo qualche riparo di cacciatori ed era raggiungibile grazie ad una mulattiera militare costruita nel contesto dell’edificazione fortificatoria antiaustriaca, ultimata dal Genio nel 1890 e abbandonata da quarant’anni. Per aprire una via di accesso alla nuova struttura e ancor prima per agevolarne la costruzione grazie all’impiego di veicoli motorizzati per il trasporto dei materiali, Zangrandi e gli uomini del cantiere da lei personalmente condotto, risistemarono tale strada fino a Pozzale, allargando anche due curve con l’esplosivo e consolidando muri e ponti. Ogni giorno Zangrandi scendeva a valle lungo il sentiero delle Grave e lo risaliva con la gerla carica. Nel paese di Pozzale la gente la conosceva bene già dai tempi della guerra e la chiamava affettuosamente “Anna”, suo nome di battaglia. Talvolta si fermava per fare due chiacchiere e per raccogliere storie e ricordi che avrebbe poi fissato nei suoi tanti scritti. Il lavoro fu pesante e costoso, ma “Anna”, donna forte, ostinata ed emancipata, lo affrontò con il coraggio e la laboriosità che la distinsero sempre, e nell’estate del 1948 inaugurò il suo rifugio. L’evento fu annunciato con un articolo di suo pugno apparso su “Le Alpi Venete. Notiziario intersezionale triveneto” del giugno 1948, in cui la struttura veniva così descritta: “Tecnicamente il rifugio è costruito in muratura fino al primo piano: ha una sala abbastanza capace (circa 6 metri per 7) e una cucina (circa 3 ½ per 4) con i vari servizi. Al piano superiore, in legno a doppia parete, due dormitori e una cameretta sono attrezzati con lettini a castello doppio con una capienza totale di 30 posti”.

Il suo obiettivo era di attrezzare alpinisticamente un’area priva di strutture e fare del rifugio la base delle escursioni ai suggestivi “due ghiacciai dell’Antelao… i più vasti ed estesi di tutte le dolomiti Cadorine e ampezzane” e alla Croda Fanton. Zangrandi ipotizzava anche collegamenti ad alta quota con il Rifugio Galassi attraverso la Forcella del Ghiacciaio, da dove poter eventualmente attaccare la cima o proseguire per il Rifugio San Marco attraverso Forcella Piccola. Nella sua visione di alpinista esperta e lungimirante già si prefigurava il collegamento che venne realizzato negli anni settanta con la Ferrata del Ghiacciaio. In virtù di questa visione, e anche per tacitare qualche protesta di altri rifugi dai quali partivano vie più dirette alla cima, Zangrandi pensò di chiamare il suo “Ai Ghiacciai di Antelao”. Esso avrebbe dovuto inoltre essere meta apprezzata dai cacciatori della vallata e dagli escursionisti amanti dell’abbacinate vista sulle Marmarole e sugli Spalti di Toro.

Pur avendolo costruito di propria privata iniziativa, già nel maggio del 1948 Zangrandi ne chiese l’affiliazione alla sezione CAI di Treviso, considerando l’importanza dell’appoggio di una storica società nazionale il cui scopo statutario è “di far conoscere le montagne, più specialmente le italiane e di agevolarvi le salite e le esplorazioni scientifiche” e necessitando di completare l’attrezzatura interna.

Nella richiesta di affiliazione viene presentato come: “Rifugio “Ghiacciai di Antelao” in località Pradonego sui contrafforti sud del gruppo Antelao. Altezza 1800 s.l.m.. Distanza da Pieve di Cadore, Tai circa due ore. Da Calalzo e Valle 3 ore. Accesso anche con macchine tipo “jeep” per la via militare del Tranego”.

La sua esperienza, tanto carica di significati da lasciare ampie tracce nella sua opera letteraria (il sogno della casetta sul valico è descritto nel diario di guerra partigiana I giorni veri, alla costruzione del rifugio è dedicato il romanzo autobiografico Il campo rosso, e episodi di conduzione dello stesso sono stati trascritti in numerosi racconti) si concluse nel 1951.

Arturo Fornasier nel suo ricordo L’amica “Anna” così descrive l’epilogo: “Il rifugio Antelao non era molto importante per gli arrampicatori, troppo lontano dalle crode e dalle vie di ascensione; richiamava però numerosi gitanti, molti di loro con la colazione al sacco … oppure cacciatori che nell’immediato dopoguerra, per eliminare il ricordo della fame patita, non badavano tanto alle regole della caccia. Con loro Anna ebbe qualche contrasto. Finanziariamente, poi, l’impresa apparve subito preoccupante e costrinse Anna a ripensare urgentemente la sua posizione e provvedere diversamente al suo futuro. …Scese definitivamente dalla montagna, cedette a rate e per poche lire al CAI di Treviso il suo “rifugio” e ritornò a malincuore a Cortina: lì aveva ancora una casa. …Tuttavia l’esperienza vissuta sul valico di Pradonego lasciò in lei ricordi incancellabili. Incontrò personaggi e tipi che diventarono poi straordinari protagonisti nei suoi racconti, raccolse testimonianze da quell’antico mondo femminile che incontrare nei fienili di monte, mentre piegata in due sotto il peso della gerla, saliva l’erto sentiero delle “grave” verso il suo scombinato cantiere. … e cominciò a scrivere e scrivere…”. Questo è il passato, che oggi ricordiamo. Il presente è un Rifugio rimasto vivo e vitale grazie all’intraprendenza dei gestori che si sono susseguiti da allora ad oggi nonostante i limiti di una struttura ormai datata ma che mantiene tutto il fascino della sua avvincente storia: una casa d’alta quota, meta e base di escursioni diverse, luogo di incontro di storie ed esperienze di montagna, e di convivio, ancora oggi proprio come nel sogno di “Anna”.

di Roberta Fornasier

 

Articolo tratto da IL CADORE n.8-2018


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