I lavori di rifacimento della piazza di Domegge di Cadore, che da alcuni mesi stanno interessando il centro storico, hanno rivelato tracce di un insediamento molto antico, che potrebbe risalire addirittura alla prima età del ferro (IX-VI secolo a.C.). “In questa occasione le sorprese non sono emerse, come ci si aspettava, dall’area della storica ex Locanda al Sole (indicativamente a metà strada tra municipio e cinema S.Giorgio), dove in passato erano state rinvenute sepolture alto medievali, ma dalla parte antistante la seicentesca chiesetta di San Giuseppe, già di giuspatronato della locale famiglia Nardei, proprio di fronte al municipio, dove si è scavato fino a una profondità di 130 cm dal piano stradale e dove, nello strato più profondo, sono stati rinvenuti frammenti di vasellame di ceramica domestica e parti di anelloni con incavi a depressione (taralli), usati in cucina come appoggio per le pentole, testimonianze di una presenza umana stabile nella zona fin dall’antichità” spiega il Gruppo Archeologico Cadorino.
L’associazione archeologica cadorina sorta nel 1996 operante su tutto il territorio storico del Cadore osserva che Domegge si sta confermando paese abitato stabilmente fin dall’antichità; con la prematura scomparsa del dottor De Lotto negli anni Sessanta del secolo scorso è venuta a mancare un’importante figura di riferimento per il paese e ben poco, per non dire nulla, è emerso dall’imponente attività edilizia privata degli ultimi cinquant’anni. “Un primo auspicio è che se in questo lungo periodo qualcuno avesse visto, sentito o trovato qualcosa che abbia attinenza con l’archeologia sarebbe importante che lo segnalasse, con modalità da stabilire con la Soprintendenza, contribuendo ad aggiungere qualche tessera al puzzle della nostra storia antica, per capire meglio chi siamo e da dove veniamo. Nei confronti dell’Amministrazione comunale l’auspicio è che molta attenzione venga posta nei movimenti di terra di qualsiasi tipo, sia che si tratti di lavori pubblici o privati, inclusi quelli attinenti agli antichi percorsi al di fuori dell’abitato, messi a rischio da lavori boschivi particolarmente invasivi. Una proposta potrebbe riguardare la possibilità di segnalare al Gruppo Archeologico ogni nuovo inizio lavori e consentire una discreta sorveglianza, anche a distanza, senza l’ingresso nei cantieri e senza arrecare disturbo agli stessi. Potrebbe risultare utile allo scopo l’apertura di piccole finestre nelle recinzioni che celano completamente alla vista i cantieri, come avviene in alcuni Stati esteri” conclude il Gruppo Archelogico Cadorino
Ubicato in area quanto mai centrale e accessibile, lo scavo ha attratto l’interesse dei cittadini che così hanno potuto seguire da vicino giorno dopo giorno il lavoro minuzioso dell’archeologo. “La cautela è d’obbligo – ha esordito la dott.ssa Carla Pirazzini funzionaria di zona della Soprintendenza Archeologia – nell’esporre le prime ipotesi di datazione dei ritrovamenti, perché ad una prima valutazione questi oggetti appaiono della prima Età del Ferro, anche se allo stato attuale delle indagini una loro datazione certa non è ancora possibile. Serve cautela perché i materiali dei rinvenimenti in area alpina hanno dei problemi particolari: restano in uso per più secoli rispetto a materiali uguali o simili trovati in centri di pianura, e hanno forme che talvolta si ripropongono anche in epoche più tarde. Capire se questi oggetti di uso quotidiano risalgono a circa 3000 anni fa, o se si tratta di utensili tornati in uso, con le medesime caratteristiche, nel tardo antico, ultimo periodo dell’impero romano, è un interrogativo che potrà ottenere risposta solo da un ulteriore studio dei reperti, o, in ultima istanza, dall’analisi al carbonio 14 dei carboni ritrovati in loco, attraverso la quale è possibile datare in modo alquanto preciso materiali di origine organica. Operazione dal costo non eccessivo, per la quale servirà comunque reperire i fondi necessari”.
Grazie anche alla collaborazione di Davide Pacitti, archeologo al quale il Comune ha affidato la sorveglianza dei lavori della piazza e lo scavo antistante la chiesetta di San Giuseppe, i rinvenimenti avvenuti sono
1. nel 1800: ascia e falcetto XIII-XII secolo a.C. ritrovati in località Crodola, tra Domegge e Vallesella, materiali oggi considerati dispersi;
2. l’elmo di Vallesella, di tipologia celtica (metà IV- metà III secolo a.C.), attualmente esposto nella mostra “Celti sui monti di smeraldo” visitabile fino al 31 ottobre presso il Museo Civico di Zuglio Carnico, ritrovato nel 1917 a Pegnola.
3. sepolture a inumazione scoperte nel 1954 nell’area dell’ex locanda Al Sole da Enrico De Lotto, il medico umanista che con Giovanni Battista Frescura era stato promotore della campagna di scavi a Lagole negli anni 1949-1952;
4. nel 2004 in zona limitrofa, in occasione di lavori pubblici, due sepolture alto medievali scavate dall’archeologo Pacitti, sotto la direzione scientifica della dott.ssa Giovanna Gangemi. Tra gli altri reperti, un pregevole pettine a corredo di sepoltura, che attualmente si trova ancora presso la Soprintendenza Archeologia di Padova;
5. rinvenimenti a Pian Pocòl (l’attuale isola nel lago di Centro Cadore): probabili corredi funerari
risalenti al V-VII secolo d.C.
“Si tratta di ritrovamenti che testimoniano di periodi diversi uno dall’altro e che non consentono di tracciare un quadro chiaro della storia archeologica di Domegge, ai quali si aggiungono quelli provenienti dallo scavo odierno, preceduti nel 1993 da rinvenimenti di stratificazioni contenenti carboni – per le quali però non è mai stata appurata datazione – segnalate da Eugenio Padovan nelle vicinanze (primo stralcio lavori piazza, zona farmacia). Quello che è certo – ha concluso la dott.ssa Pirazzini – è che a Domegge ci potrebbe essere ancora molto da scoprire”. Lo scavo è stato avviato a seguito di una segnalazione dell’arch. Lucio Boni, responsabile dei lavori della nuova piazza. Le indagini stratigrafiche condotte dal professionista hanno documentato la rimozione dello strato di riempimento moderno fino al raggiungimento di quello più antico, con la presenza di un muro di contenimento del pendio digradante verso la chiesetta, dove erano probabilmente situate delle abitazioni e forse una struttura produttiva di oggetti in terracotta; la presenza di molti carboni raccolti in una buca e di taralli (anelloni) con difetti di cottura, probabili scarti di lavorazioni, autorizzano l’ipotesi.