«Dall’Auronzo, procedendo fino a Cortina, a poco a poco la personalità della Redosa [strega tipica del bellunese] si perde e si confonde. Essa cambia del tutto il suo nome e diventa Anguana. È però sempre lei malgrado la mutazione del nome, ed anche qui resta sempre fedele alle sue consuetudini, tanto è vero che ogni femmina s’affretta a terminare di filare la sua rocca se nò vien l’Anguana».
Così scrive delle Anguàne la studiosa Angela Nardo Cibele nel 1977 (Superstizioni bellunesi e cadorine, Arnoldo Forni Editore, cit. p. 34) rifacendosi a quanto raccolto sui «pregiudizi cadorini» dal professor Antonio Ronzon nel suo almanacco del 1885.

Chi sono le Anguàne? Il loro canto è melodioso, pericoloso il loro sguardo, intrigante il loro sorriso, indecifrabile il loro potere. Lo sanno bene gli abitanti di Carnia, Valli del Natisone, Val Badia, Val Gardena, Livinallongo del Col di Lana, Val di Fassa, Ampezzano, Cadore… luoghi in cui il ricordo di queste creature è vivo ancora oggi, nonostante le leggende che riguardano il loro mito risalgano a tempi antichissimi. In Cadore le Anguane abitavano «per quei di Pieve a Lagole», scrive il prof. Ronzon, «a Valessella, a Calalzo, dove ancora si nota il Creppo delle Anguane».
La tradizione cadorina parla di creature dal volto splendido, affascinante, conturbante; lunghe mammelle cadenti che queste ondine portavano spesso sopra le spalle per allattare i figli, trasportati in canestre fissate sulla schiena; gambe talvolta caprine, con piedi retroversi, a indicare la loro natura sempre a metà tra il mondo sensibile degli umani e il mondo sovrasensibile della magia. Descritte come perfette massaie, eppure la liscia della Anguane era riferita al bucato mal riuscito, essendo queste creature abituate a lavare i panni di notte, e anche ricamare lenzuola e fazzoletti, conservati dagli uomini che se ne innamoravano. Bravi madri eppure capaci di uccidere fanciulle delle quali erano invidiose; mogli devote ma che scomparivano se lo sposo ne pronunciava il nome leggendario.
Un mito legato all’acqua, addensato quasi sempre presso laghi e fiumi, stagni e gore a indicare il fortissimo legame con una figura di madre controversa, complessa e articolata, parte di quel mito della fertilità e della figura materna che accompagna da sempre l’uomo.

La tradizione della Anguane di Lagole, meglio note come longhe longagne per la loro imponente altezza di quasi tre metri, è al centro del racconto Il lago delle fanciulle, recentemente edito dalla Morganti editori nella raccolta antologica dal titolo Le creature dell’acqua. Agàne, anguàne e krivapete, dedicata proprio alla figura delle misteriose naiadi, con nove racconti di cui otto ambientati in Friuli e uno, Il lago delle fanciulle appunto, in Cadore.

La scrittrice Vania Russo – napoletana di nascita ma feltrina di adozione, appassionata studiosa di tradizioni popolari e percorsi etnografici – ha infatti scelto il piccolo lago di Lagole, specchio d’acqua di antiche origini, imprigionato fra i monti cadorini e custode da secoli di un peculiare valore archeologico e naturalistico, come centro tematico del racconto inquadrato storicamente nel 1890, e che narra la vicenda di un giovane borghese piemontese, Ruggero Dalmasso, il quale, per amore della nobile Elena dei Brayda, decide di accettare la sfida del patrigno di lei, il conte Carlo Fenoglio, e raggiungere il Cadore per svelare il mistero delle Anguane di Lagole e conquistare così la mano della donna. Il laghetto, protetto a valle del paese di Calalzo di Cadore, a ovest del rio Molinà, e affiancato dal grande lago del Centro Cadore, sarà per questo lo scenario dell’avventura, incentrata su un’appassionante storia d’amore e sul mito delle longhe longagne.

I protagonisti de Il lago delle fanciulle troveranno nelle acque del lago una salvezza guaritrice, tratto distintivo che la scrittrice Vania Russo ha colto dalla realtà storica, avvalorata da importanti ritrovamenti archeologici, che insegna come il piccolo lago nel cuore del Cadore sia segnato dal patto votivo tra gli antichi abitanti del luogo e la divinità sanante Trumusiate, cui si rivolgevano sia donne che guerrieri per ottenerne il favore e la guarigione in caso di malattie, ma anche la protezione per esempio in battaglia. Le acque del lago sono effettivamente caratterizzate da una composizione mineraria in grado di risanare piccole ferite e cicatrici, proprietà taumaturgiche avvalorate da uno studio dell’Università di Padova. Anche per questo la zona è stata caratterizzata da un florilegio di leggende legate proprio alle Anguane, ninfe dell’acqua e detentrici anche di poteri di guarigione.

Vania Russo, grazie anche alle preziose informazioni raccolte con l’aiuto del musicista e ricercatore di musiche di tradizione popolare Andrea Da Cortà, reinterpreta le leggende in chiave narrativa, descrivendo con accuratezza i luoghi e ricostruendo le suggestive atmosfere del Lago delle Tose (Lago delle fanciulle) nome tradizionale per il lago di Lagole, da cui, appunto, prende spunto il titolo del racconto.

(Il lago delle fanciulle è tratto da Le creature dell’acqua. Agane, anguane e krivapete. (Morganti editori, AAVV, 18.50 euro, disponibile in tutte le librerie e on line).