Il prossimo 20 gennaio ricorre un anno esatto dalla morte di Sergio Reolon. Ci siamo chiesti a più riprese quanto gli sarebbe piaciuto vivere la stagione del referendum sull’autonomia della Provincia di Belluno. Sicuramente l’avrebbe fatto da protagonista, com’è sempre stato quando erano in gioco le sorti della sua provincia, per ribadire ancora una volta che la montagna non può che essere governata da montanari veri.

Ricordando che per essere montanari veri non basta essere nati in montagna dal momento che ci sono tanti abitanti della montagna che non la conoscono proprio e altri che sono convinti che la montagna sia soltanto quella del passato. Poi ci sono quelli che, trascorrendo qualche ne settimana in montagna, sono convinti di conoscerla no al punto da deciderne le sorti. È il caso di tanti politici nazionali o regionali che pretendono di governare la montagna pur non conoscendola.

Il libro intitolato “Kill Heidi” (Uccidiamo Heidi che rappresenta il simbolo degli stereotipi della montagna) che Sergio Reolon ha scritto poco prima di “andare avanti”, parla proprio di queste categorie di pseudo-montanari che non sono di nessun aiuto alla causa della montagna. Anzi, ne compromettono il futuro. Lo avevamo intervistato su questi temi in occasione della presentazione del libro a Pieve di Cadore in Magnifica Comunità, ma poi, con la sua morte, abbiamo deciso di pubblicare le sue parole ad un anno di distanza proprio per mantenere vivo il suo pensiero che resterà attuale e stimolante finché la montagna non sarà governata dai montanari.

Dal libro “Kill Heidi” si evince chiaramente che la montagna non è il paradiso terrestre dove la neve cade accompagnata dal suono dei violini e non è mai pericolosa, i fiori, bellissimi, si inchinano al passaggio dei villeggianti, le montagne dai profili eleganti si salgono senza fatica e le caprette parlano con i bambini. Così la immaginano soltanto i villeggianti che arrivano dalla pianura, dalla città, dai luoghi dove non si vivono le difficoltà della montagna. Di questo si devono rendere conto gli abitanti della pianura ma soprattutto i montanari perché se non si impegnano adeliminare gli stereotipi che stanno ingabbiando la loro montagna, e non lo fanno tutti insieme, unitariamente, con coraggio, compromettono il loro stesso futuro.

“Ho voluto scrivere questo testo – ci ha detto un anno fa Sergio Reolon – perché io sono profondamente innamorato della mia provincia. Ho fatto politica per tanti anni battendomi per difendere questa terra. Adesso però, se mi guardo intorno vedo un terribile vuoto di idee, di politica, di iniziativa. Cioè, di fronte alla decadenza, all’abbandono, allo spopolamento non c’è reazione né della società né delle istituzioni e questo mi provoca una grande tristezza e una grande angoscia ma anche la voglia di provare a dare ancora un mio contributo. Per questo ho scritto questo libro “.

Cosa bisognerebbe fare per rimediare a questa situazione. Come intraprendere un percorso che consenta l’apertura di una nuova prospettiva?
“Non c’è dubbio che il problema è di carattere politico. Io lo dico nel libro e lo dico controcorrente rispetto a quanti oggi mettono sotto accusa il ruolo che riveste la politica. La questione può essere riassunta così: la montagna non può essere letta soltanto con la lente del mercato. Perché il numero dei montanari è basso e dal momento che i consumatori, rispetto alla pianura, sono pochi, la montagna è poco interessante per il mercato. Allora deve intervenire la politica, quella alta, quella che è capace di pensare, capace di avere coraggio per fare scelte importanti“.

Il libro sostiene che la visione stereotipata della montagna, interpretata da Heidi, la rende subalterna alla città e quindi non sarebbe male intraprendere iniziative conflittuali nei confronti della pianura.
“Sarebbe un errore. La città e la montagna, la pianura e la montagna devono collaborare ma per farlo devono esse su un piano di pari condizioni. Altrimenti non possiamo parlare più di collaborazione ma di sudditanza che è la condizione nella quale si trova oggi la provincia di Belluno rispetto alla Regione Veneto. E questo avviene perché, al di fuori dei territori montani, sono in pochi a capire la differenza tra montagna e pianura. E la colpa deve essere ricercata negli stereotipi, nella comunicazione artefatta che parla della montagna come luogo dove tutto è bello, semplice, gioioso. Ma non è così. Qui le difficoltà sono maggiori che in pianura. C’è bisogno di un maggior impegno per far capire le grandi differenze che ci sono tra montagna e pianura. Io ci ho provato in Consiglio regionale e devo dire che non è facile. Ma bisogna insistere anche per evitare la convinzione che la montagna sia un luogo marginale oppure che sia una disgrazia. La montagna è soltanto diversa. E spetta alla politica saper cogliere queste diversità e valorizzarle “.

Perché in altre province montane sono riusciti a valorizzare alla grande queste diversità?
“Perché in quelle province hanno dimostrato di saper gestire al meglio la propria autonomia. E prima ancora hanno fatto capire energicamente di volerla a tutti i costi. A Trento, a Bolzano, in Valle d’Aosta i risultati sono indubbi. E, badate bene, non è solo questione di soldi come pensano in molti. È anche questione di soldi.
Ma il segreto sta nel aver imparato bene a vivere l’autonomia, nel saperla praticare, nell’averla tradotta in cultura. E i risultati si vedono. Pensiamo solo al problema dello spopolamento. Cinquant’anni fa le province di Bolzano e di Trento avevano la stessa popolazione della nostra provincia di Belluno. In appena mezzo secolo Bolzano e Trento l’hanno raddoppiata mentre la provincia di Belluno ha perso 30 mila abitanti “.

Il problema può essere risolto quindi attuando una qualche for ma di autogoverno.
“Ne sono convinto. In sede regionale è indispensabile applicare quanto previsto dalla legge 25 e anzi, se possibile, fare un ulteriore passo avanti e in ambito nazionale si deve fare in modo che il governo dia attuazione pratica a quel comma della Legge Delrio dove si parla di riconoscere l’autogoverno alle province montane che sono Belluno, Sondrio e Verbania. Altrimenti le politiche calate dal di fuori non servono a nulla “.

Stando però al libro, queste concessioni, da sole non bastano.
“Esatto. Abbiamo bisogno di un risveglio civico, sociale e politico. Spero che escano allo scoperto tanti montanari desiderosi di assumersi le responsabilità di un’azione politica forte per chiedere alla Regione Veneto e allo Stato quanto ci spetta e per saperlo poi gestire con quella passione e quel coraggio che soltanto chi vuol bene alla propria terra sa fare “.

 

Articolo tratto da IL CADORE n.1-2018


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