Ernest Gombrich, critico d’arte del Novecento, per spiegare agli studenti cosa possa essere una ricerca storica, ha utilizzato la metafora di un pozzo buoi nel quale gettare delle faville infuocate per illuminare le pareti e leggerne i contenuti. La ricerca storica che gli specialisti si trovano ad affrontare ha esattamente questo obiettivo: dare una lettura delle testimonianze materiali giunte fino a noi e inserirle in un quadro coerente di avvenimenti.

Uno dei reperti archeologici più interessanti e enigmatici del panorama culturale cadorino è senz’altro il bronzetto alato di Vodo di Cadore: la documentazione d’archivio colloca il ritrovamento a metà degli anni quaranta del Novecento quando, alla base del Còl Bonèl del comune della Val Boite, i fratelli Sartori intrapresero dei lavori edilizi per la costruzione di una segheria. Il manufatto, riportato alla luce in occasione dello scavo per la realizzazione del pozzetto di alloggiamento dei contrappesi di una sega elettrica, fu preso in custodia dal maestro elementare Matteo Talamini “de la tela”, presente sul luogo nel momento della scoperta conservandolo per alcuni anni nella propria abitazione. Nel 1954 il manufatto venne consegnato dal maestro al Museo Archeologico Cadorino, istituito l’anno prima dalla Magnifica Comunità a seguito delle grandi scoperte del sito di Lagole. Nello stesso anno la Soprintendenza alle Antichità delle Venezie venne messa al corrente e iniziarono le pratiche per l’esposizione dell’oggetto in Museo che sono state formalmente concluse nel 2017.

Dall’analisi iconografica, condotta recentemente dalla dott.sa Cecilia Rossi dell’Università di Padova, emerge la complessità del manufatto che non trova confronti pertinenti nello scenario artistico: caratterizzato dalla presenza simultanea di più elementi difficilmente riconducibili a un’unica divinità del pantheon romano, presenta una veste che ricondurrebbe a una Diana, ma l’esistenza dei calzari con delle piccole ali ai piedi ricordano Mercurio, mentre le grandi ali sulla schiena potrebbero essere quelle di una Vittoria. Estraneo dall’iconografia di una divinità il copricapo, privo di precedenti.

L’incoerenza generale del manufatto ha condotto molti specialisti a porre dei dubbi sull’antichità de manufatto, smentiti dai risultati dell’indagine chimica condotti nel 2016 dai quali si evince che il reperto certamente non rappresenta un falso. Purtroppo le indagini sui campioni del metallo lasciano aperto un grande frammento cronologico che va dal periodo Romano al 1600. In ogni caso, questa prima campagna di studi fortemente voluta dall’Ente, ha dimostrato la preziosità dell’oggetto e, se vogliamo, infittito il mistero ponendo i riflettori di molto esperti sul referto, unico nel suo genere, e sul Museo Archeologico Cadorino.

Una dato è certo: la perseveranza e la volontà di realizzare un progetto di ricerca e valorizzazione del bronzetto alato di Vodo di Cadore da parte della Magnifica Comunità in collaborazione con la Soprintendenza Archeologica del Veneto, ha dato una dignità espositiva a uno dei più bei pezzi d’arte del Cadore e da sabato 16 dicembre sarà per sempre esposto nella collezione del Museo.

Su una più puntuale identificazione dell’oggetto sono già partiti i lavori di una seconda fase di approfondimento critico, che danno alla dimensione del Museo l’aura di essere ancora il logo della ricerca.

 

Articolo tratto da IL CADORE n.1-2018


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