La vecchia chiesa cinquecentesca di Venàs dedicata a San Marco evangelista è abitualmente chiusa. Viene aperta per la
celebrazione eucaristica, su specifica richiesta, oppure in occasione di qualche funerale, anche perché l’edificio è contornato dal cimitero del paese. Forse per la sua collocazione, con Cibiana sullo sfondo e il Sassolungo, forse per la maestosa presenza del verde, San Marco costituisce una presenza singolare, dove il tempo sembra essersi fermato.
Contribuisce a creare questa particolare atmosfera la lunga serie di lapidi ottocentesche incastonate nella facciata e su una parete laterale della chiesa: con le dediche commemorative ai defunti, dal linguaggio semplice e profondo, che stanno a testimoniare un’epoca, diventando così anche documentazione di costume e storica, soprattutto se il visitatore occasionale si prende il tempo per una sosta non distratta né frettolosa.
Quasi di fronte all’ingresso della chiesa è collocata la tomba di monsignor Alfieri De Lorenzo, il sacerdote originario di Vinigo che è stato parroco di Venàs dal 1945 fino alla morte avvenuta nel 2009, all’età di 95 anni. “Per l’instancabile azione svolta per il bene spirituale dei parrocchiani e per la vita donata totalmente al servizio del paese, la comunità parrocchiale e l’amministrazione comunale unanimi e riconoscenti a imperitura memoria posero”: questa l’iscrizione posta sulla pietra sepolcrale. Don Alfieri ha lasciato infatti un segno profondo tra la gente del paese, soprattutto per il suo esempio di fede vissuta e testimoniata.
Ma anche attorno alle altre sepolture si coglie una dimensione trasparente dell’autenticità della memoria e della riconoscenza per coloro che hanno lasciato questa terra. In un giorno qualsiasi di fine giugno, certamente ha contribuito a dare questa sensazione la presenza amorevole e silenziosa di alcune donne chine sul ricordo dei loro cari.
Siamo nella borgata di Suppiane. Ad aprire la porta d’ingresso dell’antica chiesa è il parroco don Vito De Vido: contrasta singolarmente, in lui, il viso dall’espressione giovane con l’austerità del portamento e l’essenzialità delle parole.
Le pareti interne dell’edificio, qua e là, sono scrostate dall’umidità. Ad attirare è subito l’altare principale, collocato nella composta, raccolta, piccola abside: è in pietra tenera ravvivata da sottolineature marmoree di colore rosso, nero e verde. Nella parte superiore spiccano le eleganti statue di legno laccato raffiguranti la Vergine Assunta e due angeli reggicero. Sulla volta rimane traccia evidente di quattro medaglioni dedicati agli evangelisti, mentre le costolature che caratterizzano il soffitto evocano lo stile dei costruttori Ruopel, che in Cadore hanno lasciato importanti testimonianze della loro abilità e della raffinatezza del loro stile compositivo.
Colpisce, nell’altare principale, l’assenza di ogni elemento pittorico. Lo spazio centrale, sulla parete intonacata, contiene un semplice crocifisso di epoca recente. “Non sappiamo praticamente nulla – spiega don Vito – della pala che tradizionalmente viene inserita nell’altar maggiore”. Del resto, con la costruzione della nuova parrocchiale, avvenuta nell’Ottocento, la chiesa è stata impoverita di non pochi elementi devozionali e decorativi, come ad esempio l’altare dedicato a San Francesco Saverio, il cui dipinto è stato trasferito nel nuovo edificio di culto.
A San Marco vecchia è rimasto invece un secondo altare, più semplice di quello principale ma egualmente di pregevole realizzazione, contenente una pala che riproduce nella parte superiore l’Annunciazione dell’angelo a Maria e, in primo piano, la figura di un vescovo e di Sant’Antonio di Padova. Nella penombra pomeridiana si staglia poi una “Madonna vestita” caratterizzata dal volto roseo di particolare dolcezza, collocata sul ripiano del secondo altare ed elementi di arredo quale un sontuoso lampadario in lamierino di ferro. Non mancano il tradizionale pulpito, in finto marmo rosso e verde, un confessionale del XVIII secolo in legno intagliato, un’acquasantiera in marmo recante incisa la data 1669, che probabilmente un tempo era fonte battesimale. “Teoricamente– racconta il parroco – si trovava qui anche il trittico di Francesco Vecellio, fratello di Tiziano, dedicato alla Madonna in trono con ai lati San Marco e due figure di santi. L’opera è collocata ora nel presbiterio della nuova chiesa di Venàs”.
Uscendo, appare frontalmente l’antico campanile con una sola campana, del quale – osserva don Vito – esiste testimonianza anche nelle mappe del Seicento.
Attorno al sacro edificio di Venàs e agli oggetti devozionali che un tempo conteneva è rimasta una serie di ipotesi e domande, che continuano ad appassionare gli abitanti più sensibili e attenti alla storia del paese. Ma a rimanere, soprattutto, è quella patina di antica e soffusa spiritualità che emana dalla chiesa e dall’attiguo cimitero, memoria di un cristianesimo che, al di là degli aspetti formali, continua a trasmettere una sapienza che travalica il labile confine che divide le vicende terrene dall’eternità.
di Antonio Chiades
Articolo tratto da IL CADORE n.8-2018
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