Sono state le oscillazioni della temperatura tipiche del periodo compreso tra la fine dell’estate e l’inizio dell’autunno all’origine del crollo della grande parete di roccia, larga 300 metri e alta 400, sul monte Sorapis. Durante il giorno il sole riscalda la roccia, facendola dilatare, mentre nella notte la temperatura si irrigidisce.
Queste continue sollecitazioni provocano sulla roccia uno stress che spesso provoca frane, nella maggior parte dei casi di piccole dimensioni. ”Crolli di questo tipo sono abbastanza normali sulle Dolomiti”, ha detto il geologo Gabriele Scarascia Mugnozza, dell’università Sapienza di Roma. Anche per il geologo Antonio Brambati, dell’università di Trieste, ”crolli di questo tipo non sono nuovi sulle Dolomiti, come testimoniano i detriti di falda, che si accumulano ai piedi delle pareti rocciose”.
Tra le possibili cause potrebbero esserci micro-terremoti, ma alla sala simica dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv) non risultano terremoti nella zona avvenuti nelle ore che hanno preceduto la frana del Sorapis. Un’altra possibile causa potrebbe essere legata all’azione delle piogge. Tuttavia al momento l’ipotesi più probabile resta quella delle sollecitazioni esercitate sulla roccia dal continuo dilatarsi e restringersi causato dalle variazioni di temperatura. Il fenomeno si chiama ”termoclastismo”, ha spiegato Scarascia Mugnozza. ”E’ una dinamica normale in contesti montuosi con pareti ripide”, ha osservato. ”Siamo a fine estate e fenomeni di espansioni e contrazione della roccia sono comuni, considerando che in questo periodo del’anno la temperatura di abbassa nella notte avvicinandosi allo zero, mentre si alza durante il giorno a causa dell’insolazione”.
Questo continuo movimento determina nella roccia delle fratture che vanno a sommarsi a fratture già esistenti, come quelle avvenute nel corso della storia geologica che ha portato alla formazione della catena montuosa. Un fenomeno analogo al termoclastismo è comune anche nel periodo compreso fra novembre e dicembre: con la comparsa dei primi ghiacci l’acqua che si trova nelle fessure delle rocce solidifica e aumenta di volume, nel fenomeno chiamato ”crioclastismo”. Per queste cause il crollo di blocchi roccia da pareti verticali non è insolito. Nell’arco degli ultimi sette anni sono avvenute almeno due grandi frane di questo tipo.
La prima, sugli Appennini, risale al 22 agosto 2006, quando dalla parete Nord del Gran Sasso d’Italia si è staccata una grande parete di roccia sul versante teramano del Corno Grande a quota 2.700 metri. Dopo aver percorso un canalone, la frana si e’ fermata a 1.300 metri per effetto di una barriera naturale costituita da una cresta che protegge il centro abitato di Casale San Nicola. Il 12 ottobre 2007, sulle Dolomiti, è stata la volta della frana del monte Cima Una, nella Val Fiscalina, con il distacco di un lastrone di roccia alto 100 metri e largo 30.
Fonte Ansa