La Magnifica Comunità non vive di finanza pubblica, non ha ad esempio trasferimenti dal bilancio statale, né impone tributi; le sue entrate derivano dalla gestione del proprio patrimonio (boschi e terreni, musei, in primis la Casa natale di Tiziano, vendita di pubblicazioni, ecc) e tutte le cariche, dal Presidente ai Consiglieri, sono esercitate a titolo completamente gratuito.
Per quanto riguarda il suo ruolo e la sua azione ecco, di seguito, poche righe, tratte da un articolo del 10 febbraio 1988 a firma Giandomenico Zanderigo Rosolo (che fa riferimento allo Statuto del 1959 i cui principi, aggiornati nel linguaggio, sono confluiti e ribaditi anche in quello attuale) si condensano il ruolo e la forza della Magnifica Comunità di Cadore: l’Ente, che come ben sanno e riconoscono i cadorini, è l’erede dell’esperienza di autogoverno che nella storia ha caratterizzato questo territorio e ne rappresenta ancora oggi l’unità nelle sue diverse sfaccettature:
“Per chi giudichi superficiale l’attività del nostro storico Ente comunitario, la carica di Presidente o di Consigliere appare una carica onoraria ma vuota. Le sue funzioni sembrano molto meno gravose di quelle di un sindaco di un paesello qualsiasi. La Magnifica Comunità infatti, ricca di storia e di gloriose tradizioni, è oggi priva di risorse e di reale potere: un vecchio nobile decaduto, insomma, che vive di nostalgie e si sostenta con gli affitti di qualche negozio e di qualche centinaio di ettari di bosco. Come fini istituzionali precisamente definiti la Magnifica ha soltanto l’amministrazione del suo patrimonio, la conservazione delle carte del suo archivio, l’erogazione di borse di studio, sovvenzioni in caso di calamità, onoreficenze ai cadorini benemeriti. Ma la Magnifica ha una grande illusione: l’art. 1 dello statuto dice che essa rappresenta, nel seno della Patria italiana, l’unità spirituale, morale e economica del Cadore e promuove e accoglie tutte le iniziative atte ad accrescere il benessere e il prestigio. Questo Ente non è dunque costituito da obblighi burocratici, non è una definita realtà politica e amministrativa, è un ideale, una volontà.
Tutto o nulla più la Magnifica Comunità: ciò dipende solo dagli uomini suoi consiglieri. La volontà infatti non appartiene alle istituzioni ma agli uomini. Non sono le mura del vecchio Palazzo, non le rendite o gli obblighi la garanzia del buon funzionamento dell’Ente. Sono il dinamismo, il fervore, l’impegno dei Consiglieri ed in primo luogo del Presidente […] è la natura dell’Ente comunitativo, ente di “promozione” a conferire al Presidente una grande responsabilità di iniziativa. Solo se manca l’iniziativa la carica può considerarsi onorifica e vuota e la Comunità diventare un fantasma. […] Quanto allo statuto venne riformato nel 1959 dove venne introdotta una novità: poiché i rappresentanti del 22 comuni non corrispondevano al numero tradizionale dei membri dell’antico consiglio si creò la figura del consigliere tecnico: sette membri aggiunti (Arcidiacono più sei rappresentanti di enti pubblici e istituzioni che abbiano attinenze allo sviluppo morale ed economico della regione). Molto singolarmente questa norma ricalca quella degli antichi statuti del 400. Il suo scopo non è quello di creare sette poltrone in più per qualche ambizioso, essa è stabilita perché il Consiglio sia davvero rappresentante di tutti i cadorini e non soltanto delle amministrazioni comunali. È il retaggio e il barlume di un sistema di governo nel quale c’è molta maggiore considerazione per le idee e l’intelligenza degli uomini, più che per il colore della loro tessera.”
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