L’ultimo libro di Francesco Vidotto si intitola Meraviglia.
Di lui, affermato autore di storie dal profumo di legno e di boschi montani, i lettori ricorderanno Oceano, Siro, Zoe e Fabro, tutti ambientati negli incantevoli paesaggi del Cadore.
Meraviglia, che è stato pubblicato da Mondadori, è il racconto di un percorso umano che ha per protagonista un ragazzo qualunque in fase di crescita.
Come l’autore scrive in quarta di copertina, “alcune vite sono fuochi d’artificio che non scoppiano e io, in una di queste, ci sono inciampato quasi per caso. È un peccato non vederle brillare”.
Vite in procinto di spiccare il volo, piante dei sogni, alberi verdi… Vidotto usa, come sempre, immagini molto suggestive, che invitano a procedere nella lettura.
Francesco, tu sostieni che quest’ultima tua storia, Meraviglia, è diversa rispetto alle precedenti. In che senso?
Meraviglia è un libro che sprofonda le radici in una montagna differente. Racconta dell’adolescenza che è un periodo di vita dai fortissimi venti sotterranei dove le emozioni vibrano e sono incandescenti e gli ideali guidano i pensieri. È un ‘età fragile che cerca con ostinazione risposte e spesso si confronta con il deserto del mondo degli adulti, fatto di concretezze, di paure, di orizzonti limitati. È una storia d’amore anche. Di un amore assoluto che vince tutto tra Lorenzo Meraviglia e Lavinia. È una storia rock.
Il luogo del cuore, come nei libri precedenti, è sempre la montagna.
Per quel che mi riguarda la montagna è per sempre. Sale verticale nelle viscere e ti conquista. L’orizzonte alto è una cosa che non dimentichi mai. In Meraviglia, devo dire, c’è anche un’altra montagna: si chiama Lavinia. Attraverso lei ho raccontato delle cime. È una donna fragile, proprio come le Dolomiti e per questo bellissima. È una donna che c’è. È presente e grande e salva Lorenzo in ogni modo possibile.
Quanto c’è di te in quest’ultimo lavoro?
Meraviglia è in gran parte autobiografico. Un libro è un contenitore imperfetto e l’anima liquida di chi scrive gocciola giù. Questo libro doveva titolare Elia e raccontare del nipote di Oceano ed invece, mentre lo scrivevo, ho voluto parlare di me perché un romanzo deve odorare di verità, se no non vale nemmeno la carta su cui è scritto.
Il passaggio all’età adulta, sul quale il tuo romanzo si sofferma, è sempre stato difficile, indipendentemente dal momento storico in cui avviene. Secondo la tua esperienza, che cosa potrebbe aiutare oggi gli adolescenti a superare questa crescita senza sofferenza?
È impossibile: la sofferenza è vita. In montagna s’impara una cosa: che più dura è la fatica più dolce è il ricordo. Ed è così per tutti. Se vuoi gustarti un momento di pace, seduto nell’aurora, devi prima aver faticato. Se vuoi gustarti un panino e una birra devi prima essere affamato. La nostra esistenza è questo: sofferenza e gioia e ancora sofferenza e l’alternanza di queste emozioni la rende talmente dolce da fare male.
È ancora presto per chiedertelo, ma c’è qualche tema particolare che ti proponi di trattare nei tuoi prossimi libri?
Certo. Il titolo del prossimo romanzo sarà “Onesto”. Si tratta di una grande storia d’alpinismo ed inizia così: “Onesto era uomo retto di nome e di fatto e per questo povero.
Articolo tratto da IL CADORE n.2-2018
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