Negli ultimi anni sempre più spesso ci troviamo di fronte alla possibilità di scegliere un prodotto biologico quando mangiamo al ristorante o facciamo la spesa. E ultimamente un’iniziativa ci tocca particolarmente da vicino: il latte “Intero biologico di montagna”, proposto da Lattebusche. Ne abbiamo parlato con Marcello Martini Barzolai, allevatore di Comelico Superiore, che è stato tra i primi nove soci di Lattebusche ad accogliere questa possibilità di innovazione e cambiamento.

“È necessario chiarire che cosa significa biologico. – spiega Martini Barzolai – Per me biologico vuol dire un metodo di coltivazione e di produzione sano e naturale, che non impiega diserbanti e concimi chimici. Ma attenzione perché vanno fatte delle precisazioni. Per esempio deve essere chiaro che non si può immaginare di alimentare le mucche di oggi a fieno e acqua come un tempo. E questo perché l’allevatore di oggi non può vivere tenendo pochi capi poco produttivi. Se vuole che l’agricoltura sia il suo lavoro, deve selezionare gli animali che producono più latte e deve allevarne un numero considerevole”.

La stalla di Marcello si trova a Casamazzagno nel Comune di Comelico Superiore, a 1400 metri di altezza, in un sito eccezionale che si affaccia sulle valli sottostanti e si apre su un panorama mozzafiato. I capi allevati sono cento.

“Ma non significa che le cose non si possano fare bene anche con numeri più piccoli – sottolinea – l’importante è ricordare che il contadino e gli animali sono legati alla terra, e che è dal rispetto della terra che si deve partire.”

L’iniziativa di Lattebusche, dunque, è un buon punto di partenza per avere un prodotto forte che faccia riconoscere le nostre montagne come luogo in cui si mangia e si vive bene, e per aiutarci a “coltivare” la nostra terra in modo sano.

A chi si chiede perché il biologico costi di più, Marcello risponde che ci sono vari motivi: “Innanzitutto chi aderisce al biologico come metodo di produzione ha dei limiti sul numero di animali che si possono allevare per ettaro di terreno. Questi limiti sono più bassi rispetto all’agricoltura tradizionale (2 bovini adulti per ettaro invece di 4-5). Poi ci sono le materie prime che non possiamo produrre da soli vista l’altitudine ma che sono necessarie per la salute degli animali: cereali che se di produzione biologica costano quasi il doppio rispetto a quelli tradizionali”.

Il gioco vale la candela? “Direi di sì, per ora. Abbiamo aderito con piacere all’iniziativa di Lattebusche perché non rappresentava un modo per diventare ricchi ma per sopravvivere con più dignità in montagna. Certo, anche nel biologico bisogna fare i conti con costi e ricavi. Al metodo di coltivazione più vicino alla tradizione e all’agricoltura di un tempo, bisogna affiancare un’efficienza moderna. E questo richiede un’alta professionalità”.

L’iniziativa di Lattebusche non si ferma di certo qui. Con la recente acquisizione della latteria Genzianella di Padola, gli scenari per il futuro vedrebbero l’intera Valcomelico diventare un distretto biologico. Questo è anche l’auspicio della Coldiretti della provincia di Belluno. Adesso l’importante è che le Regole, proprietarie delle grandi super ci delle malghe, decidano di intraprendere la conversione al biologico di quei terreni.

A questo sta pensando e per questo sta lavorando lai. Il distretto biologico rappresenterebbe un salto di qualità per l’intera valle. E di questo dovrebbero rendersi conto per primi i consumatori, gli abitanti della Valcomelico. “Invece – racconta con un pizzico di dispiacere Marcello – noto che proprio loro sono ancora un po’ scettici sull’acquisto di prodotti biologici. Peccato anche perché questo scetticismo induce gli allevatori e i coltivatori locali a guardare con meno interesse alla conversione al biologico”.

Articolo tratto da IL CADORE n.4-2018


Abbonati a IL CADORE, il giornale della Magnifica Comunità.
Info: ilcadore@magnificacomunitadicadore.it – Tel. 0435.32262