Il conferimento delle medaglie d’oro al valore civile ai due soccorritori morti lo scorso 31 agosto sul Pelmo mentre soccorrevano due alpinisti riporta d’attualità la situazione della montagna a rischio frana. Poche settimane dopo la tragedia in cui persero la vita Alberto Bonafede e Aldo Giustina, entrambi di San Vito, i Comuni bellunesi interessati, Zoldo Alto e Borca di Cadore, restrinsero l’ordinanza di interdizione per la zona su cui era crollata parte della parete nord del Pelmo. Attualmente il divieto di transito riguarda soltanto l’area immediatamente sotto la roccia, quella del ghiaione, in pratica.

«L’ordinanza è stata tolta troppo presto – denuncia Fabio Rufus Bristot, delegato del Soccorso alpino bellunese – secondo me è stato uno sbaglio. C’è un pezzo che rischia di venir giù che è dieci volte più grande rispetto a quello già caduto». «L’ho fatto presente a suo tempo alla Provincia, competente in materia di protezione civile – continua Rufus – ma poi c’è stata la crisi e la conseguente sfiducia al presidente Bottacin e tutto è caduto nel dimenticatoio. Risolleciterò la cosa».

Per Bristot però l’attenzione alla parete nord del Pelmo, quella che crollando, si era portata via due dei suoi uomini migliori, non si deve limitare alla messa in sicurezza. «È necessario fare una perizia seria – parte all’attacco il delegato – dopo quella eseguita nei giorno della tragedia nessuno, a quanto mi risulta, ci ha più messo mano. Con il Soccorso alpino facemmo una ricognizione in elicottero, a nostre spese, il giorno stesso dell’incidente. Ma poi nessuno ha più fatto nulla. Eppure quell’area è frequentata tantissimo, sia in estate sia in inverno. I rischi per le persone sono ancora alti».

«Non abbiamo più ricevuto alcuna comunicazione di revoca dell’ordinanza che stabilisce il divieto di transito in zona Pelmo» precisa Mario Fiorentini, uno dei gestori del rifugio Città di Fiume, dove, nei giorni caldi delle ricerche dei corpi dei soccorritori, era stato stabilito il campo base per i volontari. «L’ultima circolare, che restringeva l’area vietata alla base della parete nord – dice – risale alla metà di settembre. Quella parte interessa in particolare i Comuni di Zoldo Alto e Borca. Nei giorni della disgrazia anche Valle e Zoppè avevano vietato l’ingresso da sud, per evitare che gli escursionisti, percorrendo l’anello, si trovassero di fonte al passaggio bloccato».

In quella zona è segnato un solo sentiero, il numero 468, che nella parte verso sud passa sotto la parete del Pelmo. Adesso la stagione è quella che è per cui non ci sono molti escursionisti in zona. «La mancanza di neve aiuta a mettere in pratica quell’ordinanza» scherza Mario. Dal rifugio Città di Fiume, due chilometri dal Pelmo in linea d’aria, si vede la parete nord.

Ma da quel tragico 31 agosto non c’è stato il turismo della tragedia. «Ogni tanto qualche escursionista chiede che cosa è successo e dove – conclude il gestore – ma non perché sia venuto qui apposta, perché si trova di passaggio». Chi vuole vedere la frattura nella roccia, basta che passi sulla statale che da Forcella Staulanza va verso Pescul, in val Fiorentina. L’imponente parete nord accompagna i passanti per un lungo tratta di strada. Ma il pilastro spezzato cinque mesi fa ormai non si vede più a occhio nudo.

di Simona Pacini

Fonte: IlGazzettino.it